Ponti non muri: chiudere le frontiere non è la soluzione

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Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa. Questo è il titolo del dibattito tenutosi il 9 febbraio alle 15.30 alla SIOI, ma anche della pubblicazione finanziata da Unipol che si prefigge l’obbiettivo di proporre un’alternativa alla chiusura delle frontiere. Rinunciare alle libertà conquistate da Schengen sarebbe un grande passo indietro per l’Europa e per la protezione dei rifugiati.

“Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa” questo è il titolo del dibattito e della pubblicazione finanziata da Unipol Gruppo Finanziario, che si è tenuto il 9 febbraio alle 15.30 alla SIOI, in Piazza S. Marco.

Bianca Berlinguer, direttore del TG 3, che modera il dibattito si chiede: “ E se potessimo far arrivare i rifugiati in modo sicuro?” E’ un quesito ancora irrisolto. Una riflessione ma anche una proposta che va in controtendenza rispetto alla chiusura delle frontiere. Una considerazione necessaria, perché va evitato quello che succede nelle tratte in mare, nelle fughe disperate di intere famiglie dai conflitti sanguinosi e dal terrorismo.

Bisogna cercare di regolamentare gli arrivi, ma farlo prima, nei paesi ai confini dell’Europa come il Libano, la Turchia o il Marocco, dove gli aspiranti possano fare richiesta d’asilo e da lì essere identificati e controllati”, afferma Berlinguer. La Germania è stata un esempio di accoglienza quando ha aperto la porta a 1 milione di persone ma dopo i fatti di Colonia si sono alzati i muri.

Roberto Zaccaria, presidente della CIR (Consiglio Italiano per i rifugiati) sottolinea che “è importante aprire la porta a chi ha bisogno di protezione, ma è anche essere preparati a quello che succede dopo”. In questo senso c’è stata una grande mobilitazione da parte di associazioni e comunità religiose come ad esempio la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese, che hanno accolto circa 1000 persone, in modo legale e umano. Un’alternativa valida che può costituire un modello di protezione da seguire.

Mettere in discussione Schengen è un gigantesco passo indietro”, afferma il presidente della SIOI Franco Frattini che esprime il proprio timore sulla volontà di alcuni paesi di far schierare la Nato per far fronte all’ impotenza europea di fronte l’emergenza. “Che senso ha parlare allora della politica estera europea?” si domanda. E quando Bianca Berlinguer chiede “Che cosa vi aspettate dal prossimo Consiglio Europeo?”rispode “Sarebbe utile invece  modificare del Trattato di Dublino, mentre bisogna evitare:

  • il consolidarsi dell’idea della chiusura dello spazio di Schengen
  • di schierare la NATO,
  • di rinviare il piano di attuazione Junker.

Gianni Pittella, presidente del Gruppo Parlamentare Europeo S&D,  parla di migrazioni come di un “fenomeno strutturale” che è destinato a durare per decenni. “Stiamo subendo una campagna mediatica proveniente dalla destra xenofoba che parla di invasione. Si fornisce un’immagine distorta del profugo, che non viene percepito come una persona che fugge dal terrorismo, ma viene anzi marchiato egli stesso come terrorista. C’è addirittura chi suggerisce di sparare ai profughi. Si vogliono chiudere le frontiere interne, perdendo così le conquiste di Schengen, invece di rafforzare le frontiere esterne”. Dobbiamo chiederci quali costi comporta questa perdita in quanto “è in atto una mistificazione che rischia di distruggere i principi fondamentali, sui quali si basa la (ri)costruzione dell’Europa, dopo tanti spargimenti di sangue di cui è stata il teatro. L’Unione Europea non è un matrimonio di interesse, ma è anche un impegno. Il ricollocamento era stato approvato dalla maggioranza dei paesi UE, la voglia di collaborare, era stata manifestata anche da governi dai quali non la si sarebbe aspettata. Eppure, qualcosa non ha funzionato. L’unico rimedio per sbloccare la situazione è superare gli egoismi nazionali, rispettare gli impegni presi e far tesoro degli errori passati”.

Maria Luisa Parmigiani del Gruppo Finanziario Unipol, spiega che le ragioni che hanno spinto a sostenere questa ricerca risiedono nel fatto che “La sicurezza di ognuno sta nella sicurezza di tutti”. Solo nella sicurezza si possono fare progetti per lo sviluppo

Sandro Gozi, condivide la preoccupazione della “disintegrazione europea”: “l’Europa di oggi è ben diversa dall’ Europa dei trattati. Il trattato di Dublino andrebbe rivisto senza sconvolgere però l’intero impianto giuridico su cui si basa. Invece di rinviare decisioni si dovrebbe utilizzare politicamente alcune convergenze d’idee sul tema delle frontiere, costruire delle alleanze.” Poi lancia un’altra domanda: “In cosa aumenterebbe la sicurezza rinunciando alle libertà di Schengen?”

Christopher Hein - Consigliere Strategico CIR
“Finché non si comprende che stiamo parlando di persone e non di merce non si risolve niente”, afferma Christopher Hein, Consigliere strategico della CIR. (Foto: fonte Famiglia Cristiana)

Finché non si comprende che stiamo parlando di persone e non di merce non si risolve niente”, afferma Christopher Hein, Consigliere strategico della CIR. Concorda il prefetto Mario Moricone, “Si isolano i paesi di primo approdo come l’Italia e la Grecia, e nello stesso tempo gli altri 25 stati dell’Unione, pongono limiti al ricollocamento dei rifugiati con la pretesa di poter “scegliere” le persone da accogliere, in base a religione, stato di provenienza e status. Molti migranti vengono categorizzati come “economici” e non rifugiati, in base al paese d’origine. “Con tutti gli attentati che ci sono stati in Nigeria, si può ancora pensare che tutti i migranti nigeriani siano economici?”

10/02/2016

Ania Tarasiewicz

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