Kebede Abegaz biologo etiope fa il portiere per amore

via Tommaso Salvini 45
via Tommaso Salvini 45

Nell’androne di via Tommaso Salvini 45, un elegante condominio nel cuore dei Parioli, c’è un uomo alto, di mezza età, con i capelli e la barba brizzolati e un completo grigio, è seduto dietro un tavolo di legno scuro: è Kebede Abegaz viene da Addis Abeba e di professione fa il portiere.

Arrivato come seminarista, ha studiato inizialmente teologia all’ Università Gregoriana, ma era solo un pretesto per venire facilmente in Italia, che ha presto abbandonato per seguire la sua vera passione: la biologia.

Si iscrive dunque alla facoltà di Biologia de La Sapienza, dove si laurea.

E allora perché fa il portiere?

Fa il portiere per amore: si è sposato infatti con una donna etiope che già conosceva, con cui ha vissuto prima a Firenze e poi nella capitale.

Questo lavoro era della moglie. Quando lei muore, 13 anni fa, Kebede decide di prendere il suo posto per starle vicino, in qualche maniera, e prendersi cura della figlia che ora ha 23 anni.

É in Italia da trentacinque anni e non ha più la percezione di essere straniero. Il concetto di straniero è qualcosa che non capisce bene. Si può essere stranieri dopo trent’anni? Eppure sembra essere qualcosa che ti rimane addosso, un qualche senso sottile di non appartenenza completa.

Ama Roma e si sente un po’ romano anche lui, ma soprattutto ama il clima.

Proprio come un romano odia andare nei paesi freddi a causa del tempo e del cielo grigio. Da studente si era recato in Germania per un summer job, un accordo di fabbriche tedesche con le università per impiegare studenti stranieri al posto dei dipendenti in ferie, ma non ce la faceva a restare lì.

Ogni tanto intervalla il racconto con una sonora risata che gli illumina il viso.

Il suo lavoro gli piace, anche se all’inizio è stata dura. “Certo non è una professione creativa, ma la gente è brava e rispettosa”. Per la sua vecchia professione ormai è troppo tardi. Gli anni passano e se si è fuori dal giro è difficile entrarci. Poi al giorno d’oggi ci sono nuove tecnologie di cui lui non è pratico. “E’ stata negligenza”- dice. _MG_3455

Continua però a leggere riviste e a informarsi.

In Etiopia torna ogni tre anni perché sua madre è ancora là

All’inizio gli mancava tutto del suo paese: i parenti, gli amici, il ballo e il canto, ma poi piano piano le cose sbiadiscono e si impara a dimenticare. Ogni tanto cucina ancora piatti etiopi e ama andare ristoranti tipici in città, anche se non è la stessa cosa. Non ha mai frequentato la comunità etiope romana, ha avuto sempre un gruppo di amici di provenienza varia, soprattutto studenti.

Quando torna in Etiopia si sente fuori luogo, perché le cose sono cambiate anche lì. E così Kebede vive sospeso tra due dimensioni, a nessuna delle quali si sente di appartenere pienamente.

Elena Fratini

(21/04/2016)

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