Capodanno alla berbera: backstage

Un tappeto di stelle luminose e dieci tende nel mezzo del deserto: è un capodanno alla berbera questo, organizzazione all’ultimo secondo e creazione di meraviglia in 24 ore. Prendendo un pullman da Marrakech dopo dieci ore si raggiunge M’Hamid, ridente cittadina nel sud del Marocco vicino alla più famosa località turistica di Erg Chigaga, al confine sud con l’Algeria. Quando si arriva al paese ci sono solo uomini: indossano il turbante, chac, che gli lascia scoperti gli occhi e che ha la duplice funzione di proteggere dal freddo e dal caldo. I berberi del sud sono nomadi recentemente stanziati, hanno sostituito i cavalli con motociclette da corsa che si prestano perché si rompono continuamente. Con esse sono in grado di andare ovunque sguizzando abili tra le dune con la paura del povero turista malcalpitato al loro seguito.

Di caldo e di freddo ce n’è davvero tanto tra le dune a pochi chilometri da M’hamid, dove Mubarak, trentenne berbero, ha creato il suo bivacco composto da una baracca con coperte e legni per lo “staff”, lui, il fratello saltuariamente, qualche amico e i workawayers, più altre quattro tende per gli ospiti, una adibita a cucina e una a ristorante. Quando si arriva al campo non c’è niente ma davvero niente che possa far pensare che il luogo sia adatto ad ospitare venti invitati occidentali per il capodanno eppure Mubarak è fiducioso. L’organizzatore della festa, Lotfi, è un ragazzo di Rabat che ha messo insieme un gruppo di gente proveniente da diversi paesi. Ha scelto il posto perché c’è stato qualche mese prima in occasione del festival più grande del Sahara, Taragalte, che si tiene lì vicino, e se ne è innamorato.

Al momento della conferma da parte di Lotfi, il 29 mattina, non c’è elettricità né una presa ma tra un yalla e un altro la macchina organizzativa berbera si mette in moto. Mubarak taglia due fili e li collega in maniera da ricaricare il suo cellulare con internet con il suo computer che ha quasi finito la batteria in maniera da poter mettersi in comunicazione con gli ospiti. Al campo ci sono anche Hamid, Ismail e Said tre ragazzi tra i 23 e i 25 anni che parlano solo derija e sono lì per aiutare. Ha inizio il capodanno alla berbera: un 4×4 dello zio di Mubarak va in giro per il villaggio ricercando materassi, coperte, sedie, tavoli, mentre lui compra dai vari ferramenta, lasciando pagherò, materiali per creare lavandini, prese per la luce, cavi elettrici e tubi.

Il campo giace ancora nel buio, illuminato da candele e stelle e dal tipico fuoco che chiude ogni serata nel deserto, e che allontana il freddo incredibile della notte.
La macchina parte con 24 materassi, 38 coperte, quattro sedie da giardino e un tavolo nonché un alimentatore, cose che noi occidentali ce le sogniamo, legate in maniera professionale con delle corde tirate da un lato all’altro dalla sorella e dalla mamma di Mubarak mentre lo zio in piedi sulla pila fa da spola. Si parte pronti alla traversata di vari chilometri nel deserto.
Il 29 sera è tutto un caricare e uno scaricare mentre Said monta due nuove tende pronte per ospitare il gruppo e Ismail crea le prese in un bagno, una struttura in fango e pagliericcio in cui è stato montato un lavandino. I buchi nel muro si fanno con una pietra e tubi e i fili vengono fissati con un miscuglio di sabbia e acqua. 
I materassi vengono disposti con i lenzuoli, lizard, e le coperte, tre per ogni letto, di lana pesante. Non c’è acqua corrente, viene presa da un pozzo con una bottiglia da cinque litri tagliata in cima e caricata in due grossi recipienti che fungono da riserva e che sono montati dietro al bagno e vicino alla cucina. Tutto è incredibilmente difficile ma l’abilità di questi ragazzi rende lo semplice e risolutivo.

L’arrivo degli ospiti è previsto per le ore otto del trenta: sono le dieci di mattina e la situazione è ancora disastrosa. Arriva però il tecnico per l’alimentazione del motore , Mohamed, un uomo che ha vissuto in Francia e in Spagna, parla uno spagnolo perfetto, si occupa di cucina e traduce ogni tanto dal derijia e il cuoco esperto di tajine Ismail. Gli altri montano un maxi schermo perché Lofti vuole che siano proiettati film e canzoni e piano piano ogni cosa sembra andare al suo posto. Cala la notte: le dune risplendono di lanterne colorate create con fondi di bottiglie da cinque litri tagliati e riempiti di sabbia, con dentro candele sparsi in ogni lato. Si cucina con l’aiuto delle torce perché non c’è abbastanza luce in cucina e nelle pause si canta e si suonano le castagnete e lo jambee. Ma il capodanno alla berbera non è esente da imprevisti: ad un certo punto il motore si spegne, manca il gasoline, Mubarak monta sulla sua moto e a tutta velocità corre in paese a prenderlo.

Candele vengono poste nell’argilla della tenda ristorante, mentre le tajine, vegetariana e non,vengono preparate con cura da tutti quelli che sono liberi da prese e materassi. Si pelano insieme le verdure mentre si prova a parlare in un miscuglio di derigia, francese, spagnolo con molti aiuti da parte di Mohamed e si ride molto. Tutti indossano l’abito tipico, la Jilaba, per accogliere gli ospiti. La carne al centro le verdure ai lati: carote, patate, rapa. La tajiine deve rimanere sul fuoco basso per quattro ore e intanto c’è il comitato cous cous che richiede altrettanto tempo e sforzo e viene fatto con una pentola a bagnomaria e uno scolapasta saldato fuori con la sabbia così non esce il vapore. Siamo una squadra affiatatissima: mus, mraya e forcieta sono le prime parole che impariamo. I tavoli sono apparecchiati con le olive per l’antipasto, il pane tipico, batbout, tagliato e servito in dei cestini. Nonostante i tempi stringano, ci sono molti altri imprevisti, per esempio il cous cous deve essere spostato su un fuoco all’aperto perché quello a gas non è sufficiente ad una pentola per trenta persone e allora subito Mohamed e Ismail mettono tre mattoni a C in orizzontale e ne accendono uno, salta la corrente perché qualcuno ha caricato il cellulare e allora Said con due fili di ferro e una pietra crea un contatto e lo ripara. No hay problema aquì- dice Mohamed e infatti qualsiasi malfunzionamento viene risolto con la rapidità del lampo nonostante la scarsezza dei mezzi. Una volta pronto, il cous cous è passato di mano in mano, per un’altra mezz’ora, per separare i granuli.

Arrivano i quattro per quattro e il campo risuona di mille voci in diverse lingue inizia il capodanno alla berbera: sono arrivati gli invitati, tedeschi, italiani, egiziani, spagnoli, marocchini. Si aggiunge al gruppo all’ultimo anche un ex work away canadese con la ragazza. Inizialmente è difficile creare affinità tra quelli del campo e i nuovi arrivati, diffidenti in un primo momento. Il secondo giorno con i tappeti disposti intorno ad una grossa pira, la musica dal vivo berbera che risuona nell’anima e le stelle incredibilmente luminose, anche i tedeschi più chiusi hanno ceduto.
Così alla mezzanotte tutti si abbracciano e sembra di conoscersi da sempre: tanti auguri, mani si stringono, happy new year, baci, buen ano nuevo e sana saida.


Il capodanno alla berbera è stato magico lo si può dire dal sorriso dipinto sul volto di tutti: questi ragazzi dai profondi occhi scuri, ruvidi e dolci allo stesso tempo che portano scritti nel  fondo la storia millenaria del deserto non possono non coinvolgere con la loro musica ancestrale che parla di stelle e di silenzi e ci ricorda quello che il consumismo a volte ci fa dimenticare che siamo uomini, prima di tutto. E allora sana saida per un 2017 alla berbera.

Elena Fratini

(01/01/2017

Leggi anche:

TÈ A MARRAKESH: ALLA SCOPERTA DEL MAROCCO CON L’ASSOCIAZIONE CULTURALE INCONTRANDO

CAPODANNO BANGLADESE A ROMA, IL FOTORACCONTO

ARRIVA L’ANNO DELLA SCIMMIA: IL CAPODANNO CINESE ALL’AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA

MAROCCO IN FESTA NEL CUORE DI ROMA