Via Scorticabove: i 60 rifugiati sudanesi non vogliono separarsi

Via Scorticabove - luglio 2018 - Foto di GMAPer i sudanesi di Via Scorticabove sabato 28 luglio è la ventiduesima notte in strada: il 5 luglio la polizia ha sgomberato lo stabile in cui abitavano dal 2015. La loro casa era al civico 157, ora i letti occupano la strada dal n. 153 al n. 159 e parte della perpendicolare via Monteleone di Fermo. A separare i due rami del campo qualche capannone e una scuola per estetiste. Nonostante tutto, regna una calma che è un mix di pazienza e determinazione tra i 60 sudanesi, tutti uomini dai 23 ai 45 anni, in attesa di risposte.

In attese di risposta dall’amministrazione

“Aspettiamo la riunione del 6 agosto con l’amministrazione. Stiamo creando un’associazione di promozione culturale. Non vogliamo assistenza né una struttura gratis, noi vogliamo pagare acqua, luce, gas e se c’è da ristrutturarla lo facciamo. Abbiamo consegnato delle proposte all’assessora Baldassarre. Vogliamo un posto per fare progetti, raccontare la nostra cultura e la nostra storia, anche nelle scuole”, spiega Adam, laureato in mediazione interculturale che per la comunità fa da portavoce.Ha 30 anni e in Italia ci è cresciuto: “Sono arrivato a 14 anni, ero un minore straniero non accompagnato, ma all’epoca non era come oggi. L’Italia non era attrezzata, hanno scritto che avevo vent’anni e ho cominciato a lavorare nei campi: patate, angurie, arance. Ho raccolto di tutto”. Ma poi gli uomini della comunità sudanese hanno fatto una scelta da padri: dai campi Adam è tornato tra i banchi di scuola, fino a laurearsi in mediazione culturale: “Mi hanno comprato i libri, mi hanno cresciuto loro, non i miei genitori e io non li lascio”.

Lo sgombero, l’allestimento del campo e il rapporto col quartiere

Restano compatti dal giorno dello sgombero. “Avevamo organizzato due file di letti, ma le forze dell’ordine ci hanno detto di spostarle perché le macchine non potevano passare”, spiega Adam. Sul perimetro della strada ha preso vita un dormitorio sul cemento, in fila reti e materassi, e una zona adibita a cucina. L’unica protezione dal sole e dalla pioggia i gazebo, “ce li hanno portati i volontari e i vicini, una famiglia di cinesi e una di rumeni”, dice Adam, “qui abbiamo ottimi rapporti con tutti”. In una parte dell’accampamento frigoriferi, tavoli, mobili, cucine a gas aspettano una nuova destinazione di casa. Per ora anche gli elettrodomestici sono in stand by: niente acqua, elettricità, gas. Nemmeno un bagno, neanche di quelli chimici, “il comune non ce l’ha voluto dare”.“In bagno andiamo al Dubai Bar, lì carichiamo anche i cellulari”, spiega Adam. Dove via Scorticabove incontra via Tiburtina, ai due angoli della strada, sorgono due imponenti strutture fitte di luci sgargianti: all’interno sala bingo, ristoranti, bar. “È vero che vengono qui spesso, e se devono usare il bagno o l’elettricità, siamo disponibili. Consumano e non hanno mai dato problemi”, dicono i baristi. “C’è un buon rapporto perché noi non siamo razzisti e siamo gentili con tutti i clienti”.Via Scorticabove - luglio 2018 - Foto di GMA“Fino al 5 luglio non ci aspettavamo di essere sfrattati”, continua Adam. “Il proprietario ha richiesto la struttura, quando la polizia è arrivata noi siamo usciti, poi abbiamo chiesto alle forze dell’ordine di entrare per prendere le nostre cose. Ma come fai a portar via, in pochi giorni, tutto quello che hai accumulato in 13 anni? Magari senza neanche una macchina. E quello che non abbiamo preso lo stanno buttando. Ma adesso anche se lasciano aperto, noi non entriamo”.Mentre lo dice, due uomini della sicurezza che presidiano l’edificio fanno pulizie: stendibiancheria, ventilatori, quadri. “Noi facciamo il nostro lavoro, dobbiamo stare qui e stiamo ripulendo la struttura”, dice uno di loro. “Ci dispiace anche che non ci sia più acqua e non possiamo più dargliela. L’acqua non si nega a nessuno”. Guardiani ed ex inquilini passano fianco a fianco giornate e nottate. Ma non c’è contrasto, solo rispetto reciproco.

Dall’Hotel Africa a Via Scorticabove: i rifugi della comunità sudanese

I sudanesi che vivevano al civico 157 sono tutti rifugiati. E per definizione avrebbero diritto ad un rifugio diverso da un gazebo piazzato sull’asfalto. Il campo di via Scorticabove è un’eccezione: non ci sono persone in transito, non ci sono giovanissimi, e il loro italiano inciampa poco. “Quando è arrivata l’assessora Baldassarre abbiamo rifiutato di rivolgerci alla Sala Operativa Sociale: ci avrebbero rimesso nei centri di accoglienza, di nuovo, è come se fossimo arrivati oggi. È come uscire e rientrare nella pancia di una madre”, dice Adam.

In questa strada alle porte del quartiere San Basilio la comunità di rifugiati sudanesi è arrivata 13 anni fa: dal 2002 al 2005 insieme a etiopi ed eritrei, in 600, abitavano l’Hotel Africa, nei pressi della stazione tiburtina. Poi, dopo essere stati sgomberati e aver trattato con l’amministrazione del tempo per restare compatti, sono arrivati in via Scorticabove.“In questa struttura siamo entrati con il comune, non era un posto occupato. Fino al 2015 è stato gestito dalla cooperativa Casa della Solidarietà (coinvolta nelle inchieste di Mafia Capitale ndr), da un giorno all’altro se ne è andata e noi siamo rimasti. Non ci hanno comunicato la fine delle attività. Abbiamo cominciato ad autogestirci: 10 euro a testa per pagare le bollette”.Via Scorticabove - luglio 2018 - Foto di GMAA Roma era un punto di riferimento: “Avevamo anche uno sportello informativo su questura, residenza, documenti in generale. Tutto gestito da noi: facilitavamo le istituzioni. Eravamo in 120. Quando arrivano altri compaesani, ci raggiungono. Se dici che sei sudanese non ti chiediamo da dove vieni, sei uno di noi”.

Aggiornamento del 6 agosto

Nell’incontro di oggi, 6 agosto, per risolvere il problema dell’alloggio dei rifugiati sudanesi dopo lo sgombero di via Scorticabove la posizione del Comune è rigida spiega Adam. Se i rifugiati non accetteranno la proposta del Comune di essere sistemati, separati, in alloggi per migranti fragili verranno sgombrati entro il fine settimana. I sessanta sudanesi ribadiscono  che per loro è importante ottenere una soluzione abitativa che non li obblighi a separarsi e per questo oggi  si sono presentati all’incontro al Dipartimento di Politiche Sociali con un parere legale sulla fattibilità di rigenerare un edificio pubblico scelto, ad esempio, fra quelli confiscati per mafia.In via Scorticabove 60 uomini, insieme, portano avanti la loro resistenza sull’asfalto rovente di Roma: è una resistenza pacifica e paziente, in attesa di sapere qual è il prossimo rifugio a cui hanno diritto. “Restiamo qui finché resistiamo”, conclude Adam.

Rosy D’EliaFotografie di GMA31 luglio e 6 agosto 2018

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