Aborto, in Polonia e nel mondo: stretta sui diritti delle donne

Il 22 ottobre 2020 una sentenza della Corte Costituzionale della Polonia ha dichiarato incostituzionale il ricorso all’aborto in caso di grave malformazione del feto, riducendo così l’accesso al servizio solo nel caso in cui la gravidanza sia frutto di violenza o incesto e per rischi legati alla salute della donna. Come già successo nel 2016, durante le protese del “Black Monday”, per circa due settimane donne e uomini polacchi sono scesi nelle strade di 60 città a manifestare contro le decisioni governative. Le proteste sono state così intense da costringere il governo a rimandare la pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, prevista per il 2 novembre 2020.

il logo delle proteste in Polonia
Polonia, il simbolo delle proteste delle donne contro le restrizioni sull’aborto

Tradizionalmente cattolica e avvezza al riconoscimento dei diritti delle donne e della comunità LGBT+, la politica polacca ha ricevuto quest’anno un duro colpo con la vittoria di Andrzey Duda e del partito di destra Pis “Giustizia e libertà” alle elezioni presidenziali. Conservatore, ultracattolico ed euroscettico, il Pis è stato alla guida del Paese già nel 2015 e ha più volte tentato di limitare il diritto all’aborto. Infatti, già nel 2016 e poi nel 2018 ha avanzato alcune proposte di legge poi rigettate dal Parlamento. Quest’anno il governo di maggioranza, forte del sostegno del mondo cattolico, ha approfittato delle criticità sanitarie dovute al Covid19 per tentare nuovamente di ostacolare i diritti delle donne. Non riuscendoci, di fatto.
Secondo i dati ufficiali dello scorso anno 1.100 sono state le gravidanze interrotte in Polonia e di queste 1.074 erano motivate da malformazioni del feto. Secondo le testimonianze raccolte dalle realtà attive nella tutela dei diritti, le donne polacche che hanno deciso di abortire all’estero sono state tra le 100.000 e le 150.000.

Aborto in Europa: Polonia in coda a San Marino, Malta e Vaticano  

La Polonia è tra i Pesi europei più restringenti in materia di diritti delle donne, in coda a San Marino, Malta e Città del Vaticano dove l’aborto è totalmente illegale. Nell’ultracattolica Malta l’aborto è punito con una reclusione 18 mesi ai 3 anni per la donna che si sottopone all’interruzione e 4 anni al medico che decide di assisterla. Si stima che ogni anno 300-400 donne maltesi siano costrette a spostarsi all’estero per abortire; nel 2019 circa 58 donne hanno interrotto la propria gravidanza in Inghilterra, un numero in crescita rispetto all’anno precedente quando i casi sono stati 45. L’emergenza sanitaria di quest’anno ha avuto un inevitabile impatto sulla mobilità, ma la fitta rete di associazioni pro-choiche, un esempio è Abortion Support Network, ha garantito il supporto alle donne impossibilitate ad abortire nel proprio Paese.

Aborto nel mondo: i dati sulle interruzioni legali e non

Sono 17 i Paesi nel mondo nei quali è del tutto impossibile accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, né in caso di stupro né a causa di malformazioni del feto e tantomeno quando la salute e la vita della donna potrebbero essere compromessi, tra questi, Iraq, Senegal, Filippine, Congo. In particolare, in El Salvador, piccolo paese dell’America Centrale, anche l’aborto spontaneo è punibile con la reclusione. Negli altri Paesi, come Libia, Nigeria, Sud Sudan e Afghanistan, l’aborto è consentito solo nel caso in cui sia a rischio la vita della donna mentre in buona parte dell’Africa e del Sud America la legge permette di accedere all’aborto qualora la gravidanza possa arrecare danni alla salute della gestante. Alcuni Paesi tengono in considerazione anche le motivazioni socioeconomiche delle donne che richiedono di accedere al servizio, è il caso di Finlandia, Gran Bretagna, Giappone, Etiopia, India, Taiwan e Zambia. Recentemente alcuni passi avanti sono stati fatti dall’Irlanda del Nord nel 2018 e dalla Nuova Zelanda quest’anno, al contrario dell’Alabama dove lo scorso anno è stata approvata una legge anti-abortista tra le più restrittive negli USA.

mappa sulle possibilità di accesso all'aborto nel mondo
Accesso all’aborto nel mondo: la mappa del Center for Reproductive Rights
Limitare l’accesso al servizio non favorisce il calo delle interruzioni di gravidanza, piuttosto costringe le donne a sottoporsi a pratiche non sicure con il rischio di contrarre infezioni, di incorrere in gravi emorragie, di sviluppare problemi uterini. Da un’indagine del Guttmacher Istitute è emerso che nei Paesi in cui l’accesso all’aborto è limitato il numero delle interruzioni di gravidanza sono più alti rispetto agli Stati in cui è legale. Di conseguenza negli ultimi trent’anni gli aborti illegali sono passati dal 36% del ’90- ’94 al 50% tra il 2015 e il 2019. Le complicazioni causate da aborti illegali, spesso praticati da personale non competente e con strumentazioni di fortuna, possono in alcuni casi portare al decesso: secondo l’OMS ogni anno tra il 4,7% e il 13,2% dei decessi materni può essere attribuito ad aborti non sicuri.

Tra il 2015 e il 2019 ogni anno, in media, sono stati effettuati circa 73,3 milioni di aborti legali e non, quindi 3 gravidanze su 10 si sono concluse con un’interruzione. Oltre la metà degli aborti non sicuri a livello globale sono avvenuti nell’Asia meridionale e centrale, mentre nel continente africano e in America Latina almeno 3 interruzioni di gravidanza su 4 sono state eseguite illegalmente. In Sud Africa, il numero di decessi in seguito ad un aborto è diminuito del 91% dopo l’introduzione di leggi a tutela del servizio.
Oltre alle restrizioni delle leggi nazionali, il diritto d’accesso ad un aborto sicuro è spesso ostacolato dai costi eccessivi del servizio, dalle tempistiche, dalla presenza di medici obiettori di coscienza. L’ esperienza di per sé drammatica viene acuita dalla mancata assistenza psicologica pre e post-operatoria e dallo stigma sociale che marchia indelebilmente le donne. L’educazione alla sessualità e alla contraccezione, come spesso ha sottolineato l’Oms, potrebbero essere strumenti utili ad prevenire gravidanze indesiderate.

Così come chiediamo il libero accesso al controllo delle nascite, chiediamo la libertà di abortire”. Così recitava una parte del Manifesto delle 343, il documento scritto da Simone De Beauvoir e firmato da 343 donne che dichiaravano di essere ricorse all’aborto, pubblicato nel 1971 sulle pagine del Nouvel Observateur. L’eco del Manifesto riverbera la propria potenza tutt’oggi, all’alba di un pericoloso retrocedere in materia di diritti delle donne, in Europa e non solo.

Giada Stallone
(25 novembre 2020)

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