Conversazione sul Mediterraneo

“Che succede nel mediterraneo?Conversazione con i nord africani che vivono a Roma” è  il titolo dell’incontro che si è svolto martedì 5 aprile nella sala Starlin Arush dell’ong Intersos, un’iniziativa fuori dai canoni che caratterizzano in queste settimane i dibattiti sulle rivolte nel Maghreb. L’appuntamento, organizzato da Piuculture con il sostegno di Intersos, si è rivelato un’occasione informale dove gli invitati – tutte persone “comuni”, di origine araba ma abitanti in Italia – hanno potuto offrire le sensazioni, condividere il loro vissuto ed esprimere il loro punto di vista  su ciò che sta accadendo dall’altro lato del Mar Mediterraneo, sconvolto nelle ultime settimane da un’onda senza precedenti, e la cui definizione è ancora difficile a trovare.

Si può affermare che il proposito dei promotori è stato pienamente raggiunto: stimolare una discussione tra persone profondamente legate alle proprie origini ed alla propria terra, che riuscissero a mettere in luce l’eperienza particolare di chi vede la patria dall’altro lato del mare, ma “sente” la situazione anche senza il filtro dei mass-media, comunicando direttamente con i parenti, gli amici ed i conoscenti che vivono in Tunisia, in Libia, in Egitto, ma anche in Marocco.

La giovane età è l’elemento che emergeva subito osservando gli invitati. Nessuno infatti superava i trentacinque anni di età, a testimonianza di un mondo molto più giovane del nostro e forse per questo più vitale e più pronto al cambiamento. L’incontro è stato aperto da Aziz Darif, marocchino, presidente della Consulta stranieri cittadina e punto di riferimento per gli accoliti della moschea di Roma. Aziz è stato uno dei promotori dell’iniziativa ed ha selezionato il parterre dei partecipanti, tutti vogliosi di condividere il loro stato d’animo riguardo la situazione del loro paese e la loro personale.

Egitto. Il primo a prendere la parola è stato Ahmed Gaber Haiba, un ragazzo marocchino di xx anni che vive in Italia dal 20xx. Nel suo racconto dei giorni dell’enorme mobilitazione anti-Moubarak è emerso subito un elemento fondamentale, ripreso da tutti: la centralità dei mezzi d’informazione durante tutta la rivolta. Da un lato la rete, “agente virale” nel propagare la voglia di scendere in piazza per i milioni di giovani egiziani; dall’altro la televisione, agitatrice o moderatrice della situazione incandescente. Su entrambi il governo del vecchio Mubarak ha cercato di porre uno stretto controllo, bloccando spesso l’accesso alla rete, consapevole della sua importanza come motore del sommovimento generale. Ma nonostante questo – secondo le accalorate parole di Ahmed – Facebook, Twitter e i numerosi blog sorti nei drammatici giorni di gennaio sono stati il punto di riferimento più attendibile per chi voleva seguire quotidianamente gli avvenimenti.

I media. Sul ruolo dei media è intervenuto anche il giornalista italo-marocchino Kalid Chaolouki, collaboratore di Al-Jazeera. Egli ha sottolineato la posizione fortemente militante dell’emittente araba, che ha sùbito dato voce alle istanze dei rivoltosi di piazza Tahrir. Il suo ruolo è stato non solo quello di informare, ma di diffondere il verbo del cambiamento, contribuendo a formare la coscienza dei giovani arabi in patria e all’estero. Ben diverso il ruolo di Alarabya, molto più conservatrice e  quasi strumento delle forze dell’ordine legate prima al dittatore poi ai militari.

Libia.”Nel mio paese non c’è alcuna guerra civile” è il concetto che ha voluto ribadire più volte forte e chiaro Hussein Ben Hussein, cresciuto a Tripoli fino a 22 anni, poi studente a Roma e in Canada. La sua posizione. contraddice in parte quello che molti mezzi d’informazione sembrano voler avallare in questi giorni. Hussein è portato per lavoro a girare molto per il mondo ma in queste settimane, tragiche per il suo paese, è sempre in contatto con gli affetti familiari e si tiene costantemente informato. Hussein afferma convinto che il colonnello Gheddafi è difeso esclusivamente dalle sue milizie e dai mercenari, il popolo intero è contro di lui. Anche in Tripolitania, la gente non si è mobilitata come in Cirenaica solo a causa del clima di terrore istaurato dal rais, il cui volume di armi è immane in rapporto alla popolazione. I libici sono infatti poco più di sette milioni, e per un esercito dalla potenza di fuoco come quello di Gheddafi non è impensabile l’idea di tenere tutti sotto scacco. “Gheddafi non ha fatto nulla per la Libia nei suoi 40 anni di dittatura, non ha investito nel progresso, non ha fornito il paese di infrastrutture ed ha reso la popolazione succube ed indifesa. Ma nessuno è con lui, in Tripolitania come in Cirenaica o nelle regioni meridionali.”

Speranze. Le ultime testimonianze sono state di due esponenti della comunità italo-marocchina: Fedoua Jalmous, studentessa di Scienze Politiche, e Kalis Chaouliki, giornalista da molti anni nel nostro paese, collaboratore di Al-Jazeera ed osservaotre della composita realtà del mondo arabo. Chaouliki ha posto l’accento su alcuni aspetti più “geopolitici” della stagione che sta vivendo il Nordafrica, sottolineando la totale mancanza di unità da parte dell’UE nell’elaborare una politica determinata verso i partner d’oltremare e il tentativo americano di smarcarsi da un ruolo troppo invasivo. Ma il suo messaggio è stato anche di speranza e quasi un’esortazione all’”attesa attiva”.”Bisogna saper aspettare, aiutare i popoli del Nord Africa nelle situazioni di emergenza umanitaria ma avere la pazienza di far uscire un modello nuovo per questi paesi, democratico e non violento”. Egli, come altri durante il fecondo incontro, ha indicato la Turchia come possibile punto di riferimento per l’aerea, come esempio di stato musulmano ma democratico e sulla via del progresso.

Da tutti i partecipanti, in ogni intervento, è comunque sempre emerso il senso di sorpresa, di entusiasmo e di fervida partecipazione verso gli eventi che hanno investito il maghreb da quando l’ambulante Mohamed Buoazizi si è dato fuoco il 17 dicembre dello scorso anno. Non saranno mesi facili per i paesi affacciati sul Mediterraneo, ma il risultato può essere entusiasmante.E sicuramente nulla sarà più come prima.

Enrico De Gasperis(7 aprile 2011)