L’Arci di Pietralata. L’Arci accanto alla stazione metropolitana di Pietralata accoglie da un anno circa una scuola migrante, cioè una scuola d’italiano gratuita per stranieri. Immersa in una zona dall’edilizia decisamente popolare, un mercato nel mezzo della strada a far da isola pedonale, questa sede dell’Arci suona un po’ come un piccolo avamposto di cultura e umanità. Un tocco, semplice, scabro, di colore in mezzo al cemento, alle fatiche dei volti di una classe ancora in parte operaia.
Poco più in là il via vai degli autobus di pendolari che esplorano, lungo la Tiburtina, la periferia romana fatta di capannoni, rumore e cantieri.
Partendo dall’alfabetizzazione. Venerdì escluso, le lezioni sono distribuite in tutti i giorni feriali, spesso mattina e pomeriggio. Il martedì, alla lezione prima della mezza stanno prendendo parte cinque stranieri, under 40. Il numero dei presenti è esiguo sia perché questi migranti possono avere difficoltà a frequentare, ad es. per problemi economici, sia perché il corso d’alfabetizzazione, richiede un tutoraggio quasi ad personam e si cerca di evitare classi troppo ampie.L’alfabetizzazione è infatti dedicata a chi non sa leggere e scrivere nel nostro alfabeto, quello latino. Anche se Isa, Job, Zaman, Yemane e Tweldeniigal in realtà non conoscono neanche quello della propria lingua madre, una realtà non infrequente tra chi segue l’alfabetizzazione. Marianna Rinaldi, l’insegnante, distribuisce dei fogli dove iconiche e grandi campeggiano delle lettere dell’alfabeto vagamente caricaturate.
Ostacoli. Ogni nazionalità incontra problemi specifici nell’apprendimento base o avanzato della nostra lingua: le doppie sono il tallone d’Achille costante. Il gruppo dell’alfabetizzazione sa troppo poco della lingua per osservare e raccontare i principali errori, ma la cosa di cui si lamenta maggiormente non è linguistica. Il tasto dolente sul quale tutti questi migranti battono è quello della difficoltà nel trovare lavoro. È così anche per la classe pomeridiana che segue il corso intermedio, il cosiddetto A1-A2 che permette di fare l’esame per la “carta di soggiorno”.Quello lavorativo non è un problema linguistico: eppure il serpente si morde la coda. Del gruppo d’alfabetizzazione tutti sono in Italia da un anno o due, ma Zaman, bangladesho che frequenta la scuola da dieci giorni scarsi, gestisce l’italiano molto meglio degli altri che pure spesso sono iscritti da mesi. Ma Zaman negli ultimi due anni trascorsi nel nord Italia e nella capitale ha lavorato in fabbrica e in un ristorante, parlando italiano quotidianamente. Gli altri, totalmente o parzialmente disoccupati, non hanno potuto mettere la lingua alla prova.Molti dei frequentanti sono rifugiati o sotto protezione sussidiaria: vivono in centri d’accoglienza nei quali finiscono per parlare con la propria comunità. Isa e Job, nigeriani, sono entrambi passati attraverso il Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto a nord di Roma con cui questa sede Arci ha un contatto diretto.
Fantasia per saltare le distanze. Al corso del pomeriggio, di livello intermedio, i presenti già parlucchiano italiano. Così se al corso della mattina Marianna deve insistere sulle singole lettere, sullo spelling e appoggiare buona parte del senso delle parole alla sola mimica e a grossi disegni sulle lavagne, nel pomeriggio può sfruttare maggiormente la metafora sicura di poter essere gradualmente compresa anche se formula interi periodi. Così una cosa è soffice se è come questa imbottitura della sedia e come la pelle di Teklay, giovane eritreo che sorride vedendosi poi pizzicato da un compagno. Il connazionale Filomon accoglie la metafora e la allarga al cibo, carne di manzo e di pollo che hanno diverse consistenze. E il maiale? – domanda subito Marianna, forse celiando –Non lo so, non lo mangio.
Sull’immigrato non si investe. Durante la lezione di alfabetizzazione accanto a Marianna c’è Laura, che di norma insegna ai C1, gli avanzati: è qui per fare ore di tirocinio, osserva solamente. Sia Marianna che Laura fanno un percorso professionale analogo, entrambe precarie e con numerose ore ed attività interne alla scuola promosse in modo volontario. Vogliono far confluire l’esperienza nella certificazione di idoneità all’insegnamento per gli stranieri (D.Ital.S): “Almeno hai qualcosa di scritto, poi trovare un lavoro decente in Italia resta un’impresa”. Sono le 18 passate e, a studenti ormai defluiti, Marianna dice sconsolata sull’immigrato non si investe, è tutto un clima politico che parte da presupposti sbagliati.Gli immigrati ci “servono” demograficamente e per lasciarli spesso in nero nel lavoro, ma policies organiche per integrare questo 10% di noi italiani sono state sempre carenti. Salvo poi lamentarci con toni poco garbati … che non sono integrati.
Marco Corazziari (30 giugno 2011)