Mercoledì 19 ottobre 2011, si è tenuto nel palazzo della Provincia di Roma, il convegno “Ricongiungere l’integrazione. Ricongiungimento familiare per gli immigrati: esperienze a confronto” organizzato dalla sigla sindacale Uil (Unione Italiana del Lavoro) con Ital, il suo patronato, istituto che esercita la funzione di rappresentanza e tutela di tutti i cittadini presenti sul territorio dello stato.
L’obiettivo del convegno e del ricongiungimento – sottolinea Rosella Giangrazi, segretaria regionale Uil Roma e Lazio – è “far sentire gli immigrati a casa” perché se vivono qui non sono più ospiti. “E ci si sente a casa stando con la propria famiglia. Il nucleo familiare non è un fatto ideologico, ma un insieme di affetti”. Per questo è necessario “aprirci al mondo a cui non siamo culturalmente abituati: considerare finalmente la ‘famiglia transnazionale’”.
“Ricongiungere o separare? Inserire o integrare? La scelta mi sembra ovvia”, dice Alberto Sera, vice presidente Ital-Uil. Luigi Scardaone, segretario generale Uil Roma e Lazio, intende sfatare una serie di stereotipi: “70mila posti di lavoro sono morti per mestiere: muratori, minatori… lavori che gli italiani realmente non vogliono più fare”. Inoltre è vero che gli immigrati “contribuiscono alle pensioni: se un immigrato non rimane 10 anni in Italia, perde i suoi contributi che vengono versati agli italiani”. È dunque “un atto di civiltà” lottare per i ricongiungimenti familiari.
Confronto tra politiche. L’assessore alle politiche sociali e famiglia della Regione Lazio, Aldo Forte, prende parola citando il film “Cose dell’altro mondo” di Francesco Patierno che si domanda “cosa succederebbe se domani non ci fossero più immigrati?” rispondendo che “il Lazio sarebbe una regione più povera”… ma si alza subito la polemica contro “chi predica bene per captatio benevolentiae e per fare bella figura a un convegno e poi su questi temi sparge politica del terrore”. Ben più sincero e concreto sembra infatti il discorso di Claudio Cecchini, stesso assessore ma alla Provincia: occuparsi di ricongiungimenti familiari è un “contributo alla stabilità, un modo per ridurre i danni della separazione: bambini lasciati piccolissimi che diventano degli sconosciuti, nuovi legami, nuovi figli, rapporti da ricostruire da zero. Serve educazione della pubblica opinione, fare queste iniziative fuori da Palazzo Valentini. Solo così la politica, che altrimenti non dimostra coraggio, si muoverà!”
‘Mio’ diventa ‘nostro’. Antonio Ricci del Dossier Caritas Migrantes, sottolinea altri aspetti: “i ricongiungimenti mancati, ci sono almeno 600mila donne dei servizi alla famiglia che non riescono ad ottenerli, accontentandosi solo del cosiddetto ‘ricongiungimento di ritorno’, le visite a Natale. Invece permettere che una famiglia si riunisca è una ricchezza: “è stato provato che è una prevenzione della devianza, perché grazie a questo si costruisce il comune senso di appartenenza che crea corresponsabilità, il ‘mio’ che diventa ‘nostro’”.
Mohammed e Rosita raccontano le loro esperienze personali. Mohammed sottolinea le falle e l’enormità temporale che passa per la richiesta di un ricongiungimento (“può succedere che stai chiedendo il ricongiungimento di tua moglie, ma passa talmente tanto tempo che nel frattempo può nascere un figlio e bisogna fare la pratica da capo”). Rosita, peruviana, da 21 anni in Italia, clandestina per tre anni, ha scelto la ‘via informale’: il passaggio clandestino attraverso le frontiere. “Noi, io e mia madre, non potevamo vivere senza mio padre e le mie sorelle piccole, e se lo Stato non ti aiuta usiamo il ‘nostro modo’ e il nostro modo è pagare tanti soldi e rischiare”.
I desideri degli immigrati. La Uil ha curato una ricerca svolta su un campione di 120 immigrati di varia provenienza. Alla domanda “il suo partner è in Italia?”, il 48% ha risposto sì: il 72% ha dichiarato che il partner è della stessa nazionalità, il 15% italiano (salendo al 27% per i latinoamericani, nessuno tra gli africani), il 12% di altra nazionalità. Il 75% ha dei figli (per l’Est Europa il 100%) e non si tratta di famiglie molto numerose come si potrebbe pensare. I figli che hanno meno di 18 anni sono l’80%. Il 52% degli immigrati ha un titolo di scuola superiore. I motivi della spinta migratoria sono al 72% di lavoro, ma colpisce il dato degli africani: 61% per “ricerca di democrazia”. Dalle risposte inoltre si evidenzia che l’Italia è una scelta e non un caso: il 42% la conosceva già; il 70% aveva già qualcuno in Italia, il che conferma il “modello migratorio a catena” considerato più sicuro. Il 100% ha una permanenza legale in Italia per lavoro o asilo politico. Al paese di origine si invia tra il 10 e il 20% dei propri guadagni, si comunica quasi al 100% con il telefono, si ritorna ogni 2-3 anni (38%). Alla domanda “cosa le manca di più del suo paese d’origine?”, il 35% risponde “odori e colori”, il 30% gli amici, il 21% la cultura, il 12% il carattere delle persone. Alla domanda aperta “quali desideri per il suo futuro in Italia?” per l’America Latina sono legati soprattutto alla famiglia e ai sentimenti (“portare mia figlia e avere tempo per stare con lei”); per l’Asia legati all’Italia (“una vita bella e pacifica”); desideri legati alla famiglia per l’Africa (“un cambiamento per l’Italia oltre che per la mia famiglia”) e l’Est Europa (“vedere la famiglia riunita”).
Due iniziative. Il progetto Ritrovarsi per costruire finanziato dalla Presidenza del consiglio dei Ministri con il partneriato del Centro Astalli di Roma, ha l’obiettivo di favorire il processo di riunificazione familiare di 300 rifugiati e persone con protezione sussidiaria. Il progetto garantisce: supporto legale, supporto sociale, sostegno alla creazione di micro-impresa, orientamento e supporto nella ricerca alloggiativa autonoma. Il coordinamento centrale del progetto è presso il Cir (Centro Italiano per i Rifugiati) www.cir-onlus.org. Affitti in nero: basta! Da luglio 2011 l’Uniat (Unione Nazionale Inquilini Ambiente e Territorio) offre assistenza completa per chi intende uscire dall’affitto in nero perché non solo è giusto ma anche conveniente. Info 06. 27858102.
Le conclusioni spettano a Guglielmo Loy, segretario confederale Uil: “parlare di cose vere è il primo passo fondamentale per arrivare al cambiamento, soprattutto in un paese dalla doppia morale come il nostro. Dovremmo abbandonare tutte queste ultime leggi ostentatamente ‘cattive’ e troppo burocratiche, rafforzando anzitutto il valore e i diritti della carta di soggiorno. Si tratta di una battaglia sindacale perché se non sì dà nulla alle persone è ovvio che queste poi scelgano le vie più semplici per sopravvivere”.
Alice Rinaldi
(20 ottobre 2011)