“Caro Woody Allen..”quanti giovani appassionati di film si sono trovati un giorno a scarabocchiare e riscrivere mille volte l’intestazione di una fantasiosa missiva da inviare al famoso regista: “Dear Mr Allen..”. Capita anche a Laura autrice e voce narrante del documentario “Io la mia famiglia rom e Woody Allen”, un frizzante e intelligente tentativo di descrivere dall’interno tradizioni e costumi di una popolazione troppo spesso vittima di pregiudizi. Laura, poco più di diciotto anni e un lieve accento torinese che contrasta con l’aspra lingua slava usata dagli altri componenti della famiglia, impugna la videocamera e ci offre la sua versione dei fatti. Racconta la vita quotidiana della sua famiglia, trasferitasi da un campo rom a una casa popolare alla periferia di Torino, senza risparmiare sprazzi di autoironia e irriverenza. Il tentativo è, in parte quello di documentare attraverso immagini e interviste i nodi centrali di una cultura trasmessa soprattutto oralmente che rischia di andare perduta col cambio delle generazioni e, in parte, quello di trasmettere l’idea di una quotidianità assolutamente normale e soprattutto onesta.Tutto ad uso e consumo dei Gagè, i “non rom”, il pubblico che per un insolito capovolgimento del punto di vista si trova ad essere “l’altro”.La storia inizia con l’infanzia di Laura recuperata attraverso foto e teneri filmini amatoriali girati dal padre che ci tramandano sprazzi di vita vissuta nel campo sottolineati da un forte senso di allegria e aggregazione. Prosegue poi affiancando alla routine domestica della giovane ragazza, obbligata a confrontarsi con le tipiche problematiche da inserimento nel mondo degli adulti (i genitori continuano ad esortarla a sposarsi il prima possibile secondo usanza, presentandole pretendenti su pretendenti) le vicissitudini e le difficoltà dell’altro ramo della famiglia, rimasto a vivere in un campo e costretto a subire uno sgombero.”Essere sgombrati vuol dire mettere l’acqua a bollire in un posto, buttare la pasta in un altro e potersela finalmente mangiare in un terzo” è il commento finale della nonna di Laura che trasmette tutta l’ironia e la saggezza rappresentate in questo documentario
Irene Ricciardelli(21 dicembre 2011)