Galish e Culda: figli dei fiori…… e dei Beatles

Da più di dieci anni Valle Giulia è il loro ufficio ma soprattutto la loro casa. Il loro chiosco è ormai parte integrante dell’architettura romana, i loro fiori hanno abbellito molti vasi del secondo municipio. Galish e Culda sono una stravagante coppia di fiorai bengalesi, tanto istrionici nel dire quanto nel fare, come se la loro loquacità potesse trasmettersi per osmosi alle altre parti del corpo. La  gestualità evidenzia la loro abilità da commercianti e accentua la sensazione che, se ne avessero l’opportunità, sarebbero in grado di vendere l’intera flora terrestre con la stessa facilità con cui annaffiano le piante. Sono seduti su una poltrona baroccheggiante al limite del kitsch, in mano due tramezzini al salmone e come sottofondo All you need is love dei Beatles, loro grandi idoli. Quando gli chiedo di fare un’ intervista ho l’insolita impressione che non stessero aspettando altro.

Il viaggio per arrivare a Roma è stato un trauma. Lasciare la famiglia, gli amici, il lavoro non è stato facile. La povertà e la disperazione non ti permettono di fare ciò che vuoi, sei costretto a prendere delle decisioni sofferte, sperando solo che poi non siano vane” afferma Galish. Culda è troppo commossa per poter intervenire, si limita ad annuire alle parole del marito. “Nonostante avessimo fatto uso di tutti i nostri risparmi, il viaggio in nave è stato lunghissimo e abbiamo patito le pene dell’inferno. Mancava tutto: cibo, acqua, assistenza, probabilmente ci eravamo affidati ad una banda criminale. A ripensarci oggi mi vengono i brividi e non nego di aver pensato anche al peggio, soprattutto per lei” (indica la moglie). Adesso anche Galish è commosso, prende la mano di Culda e continua. “ Quando sbarcammo a Brindisi tirai un sospiro di sollievo, ma sapevo che era solo un nuovo inizio”.

Trovare un lavoro era il nostro principale obbiettivo” prosegue Gali, come lo chiamano gli amici. “Era fondamentale per mandare dei soldi alle nostre famiglie a Dacca, e a noi avrebbe permesso di mangiare, anzi, di vivere.” Raccontano di aver girato in lungo e in largo, da Bari fino a Napoli. La loro disperata ricerca è terminata solo a Roma, grazie ad un loro amico che li ha presentati alla precedente proprietaria del chiosco, un’anziana signora sulla settantina che, rimasta sola, cercava aiutanti. Ora è Culda a voler intervenire. “La signora Marcella ci ha salvato, è grazie a lei che abbiamo ottenuto il permesso di soggiorno. Ma noi ce lo siamo meritato, le siamo stati sempre vicino. Nei suoi ultimi mesi di vita io sono stata la sua badante e mio marito il suo tassista. Lei si affezionò a tal punto da lasciarci l’intera attività. Le sarò sempre riconoscente”. “Le saremo…” precisa Galish raggiante.

In un lampo il sorriso lascia il posto, però, ad uno sguardo più cupo, misto di rabbia e rancore. Sta per iniziare una serrata invettiva. La burocrazia italiana ne è la vittima destinata.“Se fosse stato per l’ Italia io oggi avevo tre possibilità: essere povero in Bangladesh, essere un barbone in Italia o non esserci più!”. Il rimprovero di eccessivo pessimismo da parte della moglie non argina Galish, che assume le sembianze umane del Vajont. E continua impetuoso: ”In Italia non solo si deve combattere invano contro il razzismo, ma anche con un’ organizzazione statale idiota che non facilita l’integrazione degli stranieri”. Alla domanda sulla sanatoria risponde con “eleganza” laconica: “E’ una grandissima caz….”. Culda si mostra più diplomatica e spiega il suo pensiero:”E’ evidente che questa iniziativa è una presa in giro. Come si può pensare che uno straniero da pochi mesi in Italia possa pagare 1.000 € o forse più? Pensano forse che saranno i “capitalisti” a pagare quella cifra? Secondo me è solo lo Stato che vuole soldi. Fortunatamente non ci riguarda, ma conosciamo molte persone che sono state truffate”.

L’ intervista si conclude così come era iniziata, con Culda che vende l’ennesimo mazzo di rose della giornata. “Ma quante ne avete vendute oggi?!?!” mi permetto di chiedere con stupore. “Eh, tante, troppe. Qui da noi è sempre San Valentino…. All you need is love, la la la la la la …..”.

                                                                                                                      Adriano Di Blasi

                                                                                                                      (19 settembre 2012)