La psichiatria transculturale nei servizi ospedalieri

Nicoletta Salvi e Alfredo Ancona

Essere italiano o somalo o ancora norvegese è, non a caso, una delle prime definizioni che ogni individuo dichiara quando si descrive perchè la cultura ha una sua psicodinamica, una trama che supporta l’attività psichica nella costruzione del Sé

Le giornate di studio “La psichiatria e la psicologia transculturale nei servizi territoriali e ospedalieri” realizzate a Roma e coordinate da Alfredo Ancora docente di psichiatria Transculturale dell’università di Siena, hanno cercato di tracciare percorsi e approfondimenti per operatori, psichiatri e giovani studenti che operano sul territorio e che si confrontano quotidianamente con la dimensione multiculturale contemporanea.

Avremmo meno utenza, se l’approccio transculturale fosse adottato nei diversi settori istituzionali, primo tra tutti la scuola. Ricordo quando a Milano durante il boom delle migrazioni dal sud Italia incontrammo gli insegnanti che dovevano affrontare il nuovo tessuto culturale. Adesso il fenomeno coinvolge provenienze da oltre i confini nazionali,” racconta Rosalba Terranova, direttore dell’istituto Transculturale, Fondazione Cecchini Pace di Milano. Ha tenuto la lezione magistrale di apertura nella quale ha illustrato gli approdi di George Devereux, autore d’importanza per  aver inserito l’antropologia e l’etnologia nella psichiatria, costruendo un sistematico quadro di riferimento.

Rosalba Terranova

“Da sempre prima di intervenire all’estero – spesso mi sono recata in Africa – approfondisco la conoscenza del luogo attraverso letture antropologiche”. Devereux ha individuato come la cultura di riferimento determini il comportamento ed il pensare dell’individuo plasmandosi sugli assi-base dell’io sociale. “L’asse esperienziale gestisce il come ci si veste, il cosa regalare in determinate occasioni , o ancora in quello culturale si inseriscono le regole locali, ad esempio gli americani diversamente dagli italiani preferiscono scambiarsi i doni a capodanno piuttosto che a Natale” spiega Rosalba Terranova. Tutto ciò accostandosi ad un paziente appartenente ad un’altra cultura è importante in quanto parte dell’universo interiore dell’individuo oltre che di quello comportamentale. “Non cadiamo nell’errore illustrato da Almadovar in La pelle che abito” allerta Lorenzo Torresini primario di psichiatria dell’azienda sanitaria dell’Alto Adige. “Il nostro lavoro non è quello di trasformare o di reprimere.”

La cultura viene così definita come un sistema di difesa dal trauma, un quadro di riferimento per muoversi ed agire nel mondo. “Ci sono aspetti non ‘protetti’ e sono quelli che la cultura di riferimento non contempla,” continua Terranova. “Ad esempio, la globalizzazione ci porta al confronto con qualcosa che non è contemplato dalla nostra cultura, che ci espone quindi ai cosiddetti eventi traumatici. Il bambino, è più di altri facile preda. Non ha ancora consolidato il sistema di protezione dal trauma”.

Le coppie miste non sono diverse da quelle autoctone. “Una famiglia straniera deve accettare che suo figlio ‘è dell’Italia’, ci sono sistemi giuridici e culturali diversi nei quale a ragion veduta le giovani generazioni devono potersi inserire” sottolinea Giovanni Hassan psichiatria del Fatebenefratelli di Roma. “Un musulmano non può pretendere che la figlia si leghi sentimentalmente solo a un uomo di fede musulmano è un qualcosa di castrante per lo sviluppo esperienzale. Vale lo stesso per casi inversi; le donne italiane trasferitesi in un paese musulmano devono accettarne la legislazione. Oggi non ci si può appellare a un ‘non lo sapevo’”. Le coppie miste sono, accanto all’infanzia, un altro territorio sensibile. “Le coppie miste non hanno problemi più complessi delle altre. In questi casi il terreno più difficile è quello della religione se i due partner ne hanno due assai differenti tra loro” spiega Anna La Mesa, docente e presidente della Società Italiana di Terapia Familiare. “Si noti, infatti, che a Milano dove la presenza di egiziani è altissima vi sono molti matrimoni misti. Donne italiane unite a uomini egiziani, ma di religione cristiano copta e non musulmana. Mentalità quindi vicine; con altre religioni come l’islamismo e l’induismo sarebbe diverso”.

Come in altri settori e ambiti la parola meticciato ha la meglio. Un meticciato nell’approccio; e nell’incontro. Si boccia l’integrazione come assimilazione e si eleva l’incontro con il paziente come terreno di scambio che diviene momento di conoscenza anche per l’operatore. “Sono trent’anni che faccio questo lavoro e non mai incontrato un paziente che fosse uguale a quello propinato dagli informatori scientifici. Quel paziente è mitico, non esiste. Ogni individuo è unico” racconta Alfredo Ancora “Il fenomeno migratorio inoltre è privo di rituale non c’è un schema di riferimento ne’ per chi lo vive ne’ per chi vi si approccia dall’esterno”

M. Daniela Basile(28 novembre 2012)