Diritti del migrante, giurisprudenza in Italia e Ue

Giandonato Caggiano, docente di Diritto dell’Unione Europea

I diritti umani considerati inderogabili sono ancora molto pochi e “sarà così fino a che non avverrà un’evoluzione culturale”, sostiene Giandonato Caggiano, professore di Diritto dell’Unione Europea all’Università degli studi Roma Tre, relatore del seminario “I diritti dell’immigrato a non essere discriminato” tenutosi il 1 marzo nella sala Vanvitelli dell’Avvocatura generale dello Stato. Ad esempio, riferendosi al vincitore di due premi Oscar Django Unchained, “schiavitù e lotte fra mandingo erano legittime fino a circa 150 anni fa. Il cammino è faticoso, siamo lontani da una cittadinanza civica, ma nell’ambito comunitario i riferimenti del Trattato di Lisbona e della Carta all’equo trattamento sono segno di questo progresso, lento, ma supportato dalla Corte di Giustizia”.

Il diritto alla salute La politica sovrastatale dell’Unione è “esigua, solo di coordinamento, sostegno e completamento di quelle nazionali”, continua Caggiano, frutto più che altro di una “volontà degli stati membri di limitare le competenze” dell’organismo continentale. Il tema può essere affrontato in maniera migliore dal punto di vista della nostra Costituzione. Nel 2009 i tentativi del governo di bloccare il fenomeno migratorio, culminati con l’approvazione della legge 94, meglio nota come “Pacchetto sicurezza”, introdussero l’obbligo per i medici di denunciare gli irregolari e una serie di limitazioni tra cui quella “alle cure del bambino per le donne incinte”. Tutte demolite da due sentenze della Corte Costituzionale, la 296 e la 299, entrambe pronunciate nel 2010 relativamente al conflitto di attribuzione Stato/regioni, nello specifico Toscana e Puglia. “È stato sancito il principio per le seconde di poter assicurare cure essenziali anche a chi è privo di regolari permessi”. Il dibattito su cosa si dovesse intendersi per “essenziali” ha portato ad una definizione inclusiva “anche di patologie non pericolose per l’immediato ma che possano portare a complicanze”. Ad esempio rimanevano garantiti interventi preventivi come i vaccini.

Le sentenze Alla regione Toscana il governo contestava la realizzazione di un sistema medico parallelo a quello statale. Il rigetto della Corte è stato motivato dal fatto che la sanità non ha niente a che fare con materie legate all’immigrazione quali ingresso, soggiorno, espulsione, non incide quindi sulle competenze centrali. In Puglia invece il tentativo era di censurare una norma che prevedeva azioni oltre l’ambito dell’urgenza in senso stretto, arrivando anche alla facoltà di scelta per il medico di base. Venne considerato legittimo anche il trattamento continuativo, “normativamente il diritto alla salute ha prevalso sul reato di clandestinità, ma di fatto sono rimaste difficoltà pratiche, dalla lingua alla religione. In troppi confidano più nella  robustezza e nelle buoni condizioni fisiche”.

Normativa europea La necessità di assistenza sanitaria è prevista anche nell’articolo 15 della direttiva sui richiedenti asilo, per emergenze e pronto intervento, ma lascia possibilità di atteggiamenti diversi tra gli stati. Viene scardinato un po’ il mito della liberalità dell’Europa settentrionale, “sono proprio i paesi scandinavi ad essere più restrittivi nell’interpretazione”, si è ben lontani da un’armonizzazione continentale. L’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani vieta trattamenti disumani e degradanti, “tra cui le malattie derivanti da carcerazione, da considerarsi esclusa dalla direttiva rimpatri del 2008 anche nell’attesa di espulsione”. Traducendo, la scusa fornita dai governi succedutisi dell’imposizione europea dei Cie a chi ne contestava i metodi disumani non reggerebbe su alcuna base. Vanno poi evitate discriminazioni derivanti dallo stato di salute, come le ipotesi di rifiuto di ingresso o di residenza per malati di Hiv.

Diritto all’alloggio Lo status di lungo soggiornante garantisce una parificazione quasi totale per il migrante, “l’espulsione può essere prevista per motivi di pubblica sicurezza, praticamente solo nell’ipotesi di terrorismo”. Il dubbio è se nel sostegno per la partecipazione a bandi pubblici, come l’assegnazione di case popolari, o per gli affitti, ci sia equiparazione con i cittadini comunitari. Un caso interessante, nella provincia di Bolzano ha riguardato il signor Kamberaj, di origine albanese, la cui richiesta di sussidio nel 2009 non venne accolta, non per mancanza di requisiti, ma perché il fondo da destinarsi ai cittadini di stati terzi era già esaurito, in quanto calcolato sulla proporzionalità degli abitanti e quindi più esiguo. Il dibattito giurisprudenziale è partito dall’articolo 11 della direttiva europea del 2003 che fa salva la parità di trattamenti nei casi di previdenza, assistenza e protezione sociale. Il diritto all’alloggio poteva rientrare in queste categorie? L’interpretazione unita alla lettura della Carta dei diritti fondamentali sembra confermarlo, visto che la finalità è sempre l’integrazione. Va dunque garantita un’esistenza dignitosa a chi non dispone delle risorse sufficienti, “anche se le disposizioni lasciano l’ultima parola in merito al giudice nazionale. In realtà è difficile che questo possa derogare, per la prevalenza della dottrina internazionale recepita tramite articolo 10 della Costituzione, ma la formula lascia apparente libertà al singolo stato membro, è un bell’arzigogolo. Finalmente un’incidenza virtuosa della Carta”.

Gabriele Santoro(4 marzo 2013)