Turchia, Balcani e il Ramadan “laico”

Mustafa Cenap Aydin, direttore dell'Istituto Tevere
Mustafa Cenap Aydin, direttore dell’Istituto Tevere

La Turchia è certamente diversa dagli altri paesi musulmani di tradizione araba, ad esempio i ritmi lavorativi nel mese del Ramadan non subiscono variazioni, “essendo uno Stato laico non è permessa una flessibilità degli orari per motivi confessionali, non sarebbe giustificabile per legge. Così il fine settimana si è adeguato a quello occidentale, i giorni festivi sono sabato e domenica, non il venerdì”, spiega Mustafa Cenap Aydin, nato nel paese anatolico ma dal 2004 a Roma, dove sei anni fa ha fondato l’Istituto Tevere, associazione culturale che ha lo scopo di promuovere il dialogo religioso e interculturale in Europa, “per far conoscere le diversità non solo degli islamici ma di varie comunità”.

Il digiuno è senza dubbio è il primo elemento che viene in mente pensando al Ramadan, “ma è solo un aspetto materiale, sono più importanti la riflessione, la spiritualità, la disponibilità verso l’altro, cui vanno rivolti atti caritatevoli. Si legge di più il Corano per capire il messaggio di Dio diretto all’umanità”. Nelle piazze e nelle strade turche si è diffusa l’usanza di allestire teatri, fiere, soprattutto sulla lettura, palchi per concerti, “fino a qualche anno fa erano più limitati, ora è un po’ troppo intrattenimento, che invade gli spazi di luoghi contemplativi come le Moschee”, l’opinione di Cenap che generalmente resta a Roma per il Ramadan.

I segni della secolarizzazione sono evidenti, come conferma Selin Güngör, giurata per il premio Methexis all’ultimo Medfilm Festival: “la maggior parte dei giovani non digiuna durante il Ramadan”, ciò non toglie che resti un forte senso di ossequio verso chi è più credente, “ad esempio io non mangio o bevo per strada, nei bar o nei luoghi pubblici, per rispetto a chi sta seguendo il rituale. Molti hanno il mio stesso comportamento”.

Manifestanti turchi celebrano l'iftar, la rottura del digiuno - foto LaPresse
Manifestanti turchi celebrano l’iftar, la rottura del digiuno – foto LaPresse

La comunità fra integrazione e tradizione Il tema non riguarda tanto l’Italia, dove gli originari dalla Turchia sono circa ventimila, cifre modeste specialmente se paragonate ai quasi tre milioni presenti in Germania. “Il caso è complesso, c’è una spaccatura tra chi vuole conservare l’identità e chi vuole diventare ‘tedesco’, per anni i governi si sono disinteressati di integrazione, la Germania sperava di rimandarli a casa, la Turchia aspettava solo le rimesse”, racconta Cenap.

L’influenza turca si riflette anche in altri paesi dell’Europa balcanica, islamizzata nel corso della Storia dall’Impero Ottomano. Se la dittatura di Enver Hoxha – “ironia della sorte il suo nome significa ‘maestro religioso’”, continua Cenap – in Albania ha cancellato praticamente ogni traccia, portando ad un ateismo di Stato, diversi sono i casi della Bosnia-Erzegovina, con metà della popolazione musulmana, e delle minoranze in Bulgaria, Macedonia, Grecia, “dove anche la lingua è simile”. In Azerbaijan è invece la civiltà persiana ad avere avuto maggiori effetti, “nella cultura, letteratura, poesia”. Ad ogni modo la realtà è troppo sfaccettata perché si possa parlare di un islam “europeo”, dipende “da quale modello  si prende in considerazione. Germania, Portogallo, Italia, Francia, Gran Bretagna o quale altro paese?”.

Gabriele Santoro
(22 luglio 2013)

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