Cosa faresti sparire se avessi una macchina in grado di farlo?

images“Qual è il tuo desiderio?” “Una macchina che faccia sparire tutte le cose”. Da questa originale risposta ricevuta in una precedente intervista, la regista georgiana Tinatin Gurchiani ha tratto il titolo per il suo documentario “The machine which makes everything disappear”, in concorso nella rassegna Doc.international nell’ambito del Mese del Documentario ospitato a Roma dalla Casa del Cinema.

In realtà nel film ciò viene chiesto solo una volta “cosa sceglieresti di far sparire se avessi una macchina in grado di farlo?”, la metafora è più che altro relativa al potenziale di un’altra macchina, quella da presa, spiega la stessa Gurchiani intervenuta in collegamento via Skype al termine della proiezione. Tre minuti di tempo per raccontare una storia su di se, l’annuncio che ha convinto centinaia di suoi connazionali a provare ad apparire da co-protagonisti in questo lavoro.

Da tempo trapiantata a Berlino, la Gurchiani ha scelto di girare nel suo paese natale dopo una lunga assenza. Non per raccontare uno spaccato socio-politico di una terra anche recentemente al centro di conflitti separatisti e di cui si sa molto poco oltre i confini nazionali. “In tre minuti è più facile che i racconti siano forti, che si esprima qualcosa che ci abbia segnato piuttosto che eventi più allegri”, la Gurchiani spiega così un diffuso senso di oppressione, stanchezza, voglia di fuggire e di cambiare che traspare neanche troppo velatamente nell’ora e mezza di visione. “Ma non rappresenta la Georgia”, ci tiene a puntualizzare.

Presentato in diversi paesi, nella repubblica caucasica ci sono state le uniche piccole polemiche legate a questi aspetti, è normale quando lo spettatore vive e si riconosce – o meno – in una certa realtà. Anche la cupezza climatica ha ricevuto qualche obiezione, dai racconti dei locali sarebbe casuale, circostanziale a quel periodo limitato. Certo, trovare la neve tra fine ottobre ed inizio novembre non lascia  pensare ad un clima simile all’italiano, come sostenuto da qualcuno in sala. Al massimo dell’Italia (molto) settentrionale. Però il grigiore è risultato funzionale al tutto, nel sottolineare determinati stati psicologici di chi ha accettato di mettersi a nudo facendo sparire ogni filtro e remora grazie appunto alla “macchina” del titolo.

Tinatin Gurchiani, regista del documentario
Tinatin Gurchiani, regista del documentario

A differenza della maggior parte di questo tipo di produzioni, che richiedono ricerche addirittura di anni, “The machine which makes everything disappear” è costato appena venti giorni di tempo, sia per un budget limitato – parte del personale non ha percepito compensi se non il pagamento delle spese per viaggio e soggiorno – ma soprattutto per la scelta di fotografare un determinato periodo circoscritto. Non importa come si evolveranno le storie, alcune più seguite di altre – come quella di una ragazza che abbandonata dalla madre decide di tornare a trovarla proprio nel giorno del suo compleanno per provare a capire le motivazioni del gesto.

O quella di un ragazzo condannato ad oltre vent’anni per una rapina, raccontato dal fratello e dalla partner cui scrive numerose lettere dalla galera, a ben diciassette anni dal finire di pagare il debito con lo Stato. Tutte situazioni sospese, con l’unica garanzia della Gurchiani che si tratta di realtà al 100%. La selezione, faticosa per la contemporaneità di tante narrazioni meritevoli, “a volte anche di maggiore interesse rispetto a quelle che effettivamente sono mostrate”, ha comunque optato per un filo conduttore, il rivolgersi ai giovani fra i quindici ed i venticinque anni. “Nonostante l’apparenza, ho scelto di far parlare questa generazione che ha insito un forte ottimismo, una voglia di aprirsi alla bellezza della vita”.

Gabriele Santoro(31 gennaio 2014)