Ritorno alla “tragica normalità”. Nel C.I.E. di Ponte Galeria con Be Free

CIE Ponte Galeria
CIE Ponte Galeria

“Tutto nella tragica normalità”. Sono le 23.00 di mercoledì 8 gennaio e questo è il testo di un sms che mi invia Francesca De Masi, coordinatrice dello sportello per donne vittime di tratta nel C.I.E. di Ponte Galeria, gestito dalla cooperativa Be Free. Le avevo chiesto di raccontarmi il rientro al centro dopo la protesta delle bocche cucite, e dopo le numerose altre notizie, che nel periodo natalizio, hanno portato all’attenzione di tutti, la condizione dei migranti irregolari presenti nei centri di identificazione ed espulsione. L’eco nazionale era scattata a partire dal video shok del tg2, trasmesso prima di Natale, in cui si denunciavano le condizioni degli immigranti trattenuti a Lampedusa. Poi la protesta era arrivata anche a Roma, dove un gruppo di ragazzi del C.I.E. di Ponte Galeria, si era cucito le bocche e aveva dormito all’addiaccio per molte notti.

È notte fonda e non ho bisogno di richiamare Francesca per farmi spiegare cosa intende con quel messaggio. Ne abbiamo parlato prima di questo primo giorno di lavoro al centro del 2014. Mi ha raccontato che la giornata tipo di una donna all’interno del centro è quella di fare la spola tra mensa, dottore per le visite e colloquio con assistenti sociali. Poi il nulla, “a ciondolare per ore”. “Una donna che aveva fatto esperienza del carcere un giorno mi ha detto – mi racconta Francesca – che lo preferiva al C.I.E. perché almeno sapeva che colpa avesse commesso e per quanto tempo dovesse rimanere lì”. Nel C.I.E. vengono portati gli immigrati irregolari, coloro che non hanno il permesso di soggiorno: non viene rinnovato il contratto di lavoro; ci si divorzia e si perde il permesso per ricongiungimento famigliare. Sono solo alcuni esempi. Quando nacquero i C.I.E. il tempo massimo del trattenimento era di 30 giorni, oggi sono diciotto mesi. “Per loro è snervante il non sapere quando usciranno. Il trattenimento viene prorogato di mese in mese”.Be Free gestisce lo sportello dal 2008. Lavora nell’ala femminile del centro e sono più di 800 le ragazze che fino ad oggi ha assistito. Per la maggior parte vengono dalla Nigeria, Cina, Ex Jugoslavia, Maghreb, Albania, Sud America. Attualmente sono 30 le ragazze trattenute nel centro, che ne può ospitare nella parte femminile 120, su 360 posti in totale, tra maschi e femmine. “Il nostro è un lavoro di ascolto e di emersione”. L’equipe, coordinata da Francesca è infatti composta da un avvocato, una mediatrice di cinese, operatrici anti-tratta, mediatore che parla francese ed inglese.

Protesta bocche cucite
Protesta bocche cucite

Le storie che ascolta Be Free raccontano di tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e/o lavorativo, prostituzione forzata, mancata regolarizzazione da parte del datore di lavoro, violazioni dei diritti umani nel paese d’origine e richiesta di asilo politico in itinere o rigettata e molto altro. “Noi siamo qui per fornire un appiglio – dice Francesca –  perchè nella stragrande maggioranza le donne non sanno di poter avere dei diritti, di poter accedere a meccanismi di protezione, e quasi mai qualcuno glielo dice”. Il cardine del lavoro di Be Free è l’art.18 per la concessione di un permesso di soggiorno speciale, che dà diritto all’accoglienza presso strutture protette, all’accesso a corsi di formazione, all’inserimento lavorativo. Lo ottengono le donne  vittime di tratta a scopo di sfruttamento che denunciano i soprusi. “Non è per nulla facile. Quando ci riusciamo portiamo alla luce una storia che per un sacco di motivi è nascosta”. Passano per lo sportello non solo le storie di tratta e sfruttamento, ma anche altre storie che Be Free segnala ad organizzazioni che operano nel centro. Per esempio donne che potrebbero richiedere un permesso per asilo politico”.Ad oggi, le emergenze delle bocche cucite e del centro di Lampedusa   sono rientrate, ma al C.I.E di Ponte Galeria, prosegue la “tragica normalità.

Fabio Bellumore(09 gennaio 2014)

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