Cambiamenti nella Tendopoli Tiburtina: parola agli operatori della Cri.

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Tendopoli Tiburtina: gli operatori raccontano il campo e i cambiamenti in corso.

Aria di cambiamenti nella Tendopoli a Tiburtina per i migranti in transito, allestita il giugno scorso. Il sole splende,  ma c’è ancora qualche pozzanghera dopo la pioggia del giorno prima. Non è un problema per i bambini, che giocano incuranti a piedi nudi.

Dopo l’allarme per l’inadeguatezza della struttura di fronte l’arrivo della stagione autunnale, che già nei giorni scorsi ha creato disagi a causa delle piogge, ora si sta lavorando sullo smantellamento e spostamento al Tiburtino Terzo. Sarà una struttura coperta, più accogliente, con docce e servizi migliori.

Contemporaneamente, gli operatori cercano di mantenere la normalità, venendo incontro ai bisogni dei migranti: nuovi ingressi, distribuzione del cibo e dei vestiti, cittadini che continuamente portano le cose di prima necessità, ma anche giocattoli e persino telefonini.

Uno di loro appende un fiocco rosa all’ entrata per la nascita di Lisa, figlia di una donna eritrea del campo. La gioia si legge nel volto della volontaria Maria Lisa: “Malgrado le difficoltà, il nostro lavoro è gratificante. Ci affezioniamo alle persone che arrivano, specialmente ai bambini. Speriamo che quando cresceranno si ricorderanno di noi”. Senza dubbio, un giorno, la piccola Lisa conoscerà il racconto della sua nascita, e che porta il nome della volontaria che ha assistito al suo parto. “Nel nostro piccolo cerchiamo di aiutarli. Non abbiamo mai avuto problemi, anzi, le persone ci sono molto riconoscenti. Non percepiscono i disagi, perché dopo quello che hanno passato, qui, si sentono finalmente al sicuro”, ci racconta Maria Lisa.

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Poi ci sono i mediatori culturali, tra cui Adam, diventato il punto di riferimento, non solo grazie alla sua conoscenza di molte lingue, ma soprattutto per il fatto di aver vissuto sulla propria pelle l’esperienza del viaggio che l’ha portato in Italia. Ora ha 35 anni, due lauree, e si divide tra diversi lavori, dopo che è partito da zero sette anni fa, quando è arrivato in Italia. “Non mi ha pesato”, dice senza amarezza, perché “tutto fa esperienza”, anche quando, ci racconta, “ho dormito in un hotel a mille stelle: a cielo aperto, nel parco”.

E le esperienze da raccontare non gli mancano: attivista di diritti umani in Eritrea, paese da cui proviene, nonché giornalista dal 98 al 2003, anno in cui è stato arrestato e imprigionato in Sudan, con l’accusa di spionaggio, dopo l’avvento del regime dittatoriale nel suo paese. Venne liberato dopo 6 mesi in cambio di servizi di traduzione. Il suo sogno di libertà l’ha portato ad abbandonare il proprio continente. “Non avevo una meta”, dice, “ma volevo vivere in pace. Fare il giornalista in Eritrea è molto difficile, non esiste alcuna libertà”. Si rattrista all’idea che molte persone non capiscano che spesso la scelta di lasciare il proprio paese, è una scelta obbligata, specialmente se mancano i diritti fondamentali.  “Ora i viaggi, rispetto al passato sono più organizzati, ma tutto ha un prezzo. C’è chi vende un rene per pagarsi il viaggio nella speranza di cambiare vita. I trafficanti in cambio, guadagnano circa mezzo milione di dollari al mese”.

Nota che “nei paesi del Nord  l’accoglienza funziona meglio, ma manca il calore umano: non solo il clima ma anche le persone sono più fredde, per cui l’integrazione è più difficile.” Molti migranti attendono di essere accolti da questi paesi con il nuovo programma europeo di ricollocamento. Alcuni vogliono ricongiungersi con i parenti, altri non hanno più nessuno ma vorrebbero studiare o lavorare, ma la priorità rimane trovare una stabilità.

Ania Tarasiewicz

(13 ottobre 2015)

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