Il martisor è di origine antichissima, annuncio della primavera e denominazione popolare del mese di marzo, raffigura mesi arrotolati e intrecciati in un cordoncino bicolore bianco e rosso a forma di otto. Il bianco rappresenta la salute, la purezza, l’intelligenza, l’inverno alle spalle; il rosso la passione, il sangue, la stagione calda, la nascita della vita. Il primo marzo viene regalato come portafortuna alle fidanzate o alle figlie che lo indossano sul petto. Molto importante è il pensiero positivo con il quale viene offerto: deve essere un rituale di armonia.Il 5 marzo, in Via Caravita 7, nella chiesa di San Francesco Saverio, le associazioni A&S e Lumea Copiilor hanno curato l’evento del Martisor 2016. Il premio martisor d’oro alla donna romena dell’anno è stato assegnato a Mioara Moraru dell‘associazione culturale romeno-italiana Propatria per quanto fatto in questi anni.Negli ultimi tempi ai fili colorati si aggiungono anche oggetti artigianali, per esempio un gallo che tiene lontano il malocchio. I bambini hanno paura del buio e il gallo, cocosh, con il suo canto annuncia il ritorno della luce – spiega Aurelia Pop, mediatrice culturale, che si occupa dell‘associazione Lumea dal 2003. A semicerchio, all’entrata, i pannelli della mostra espongono opere di artisti venuti dalla Romania: Mihaela Tătulescu, Radu Tîrnovean, Ionu Horoba e Ileana Horob.Sui pannelli è spiegata la storia del martisor. Su uno di essi sono esposte tante piccole vecchiette che somigliano alla befana. E’ Baba Dochia, vecchia dochia. Secondo una leggenda la figlia di Decebal, per sfuggire all’amore dell’imperatore Traiano, si rifugiò sui monti Carpazi e chiese al dio Zamolxes di trasformarla in pietra. Il primo marzo però la donna scende dalla montagna per ritornarvi l’8. La tradizione vuole che ognuno scelga un giorno di quella settimana: se sarà assolato si avrà un anno fortunato, se piovoso bisogna aspettarsi un anno negativo.All’ingresso della sala bambine con in testa ghirlande di fiori partecipano a un laboratorio su come realizzare un martisor. Una tradizione presente anche in altri paesi come la Bulgaria, dove si chiama marteniza, Moldavia, Macedonia e Grecia. Poco più avanti troneggia un grosso pane fatto in casa con un piattino di sale. Viene direttamente dalla Romania e l’ha portato Ileana. È tradizione antichissima, dai tempi di Decebal, accogliere gli ospiti speciali, in particolar modo se stranieri, con questo rito.Un discorso di padre George Picu apre l’evento parlando della tradizione del martisor. Padre George cita un proverbio romeno: “Dar din dar se face rai (letteralmente: regalando il regalo si costruisce il paradiso)”. “Per questo – aggiunge – è importante continuare a celebrare questo evento perché nella società del ‘do ut des’ bisogna trasmettere la gratuità del regalo del martisor alle future generazioni, come qualcosa che va oltre le mode”.Nella serata non poteva mancare la musica: una ragazza di dodici anni esegue brani classici con il flauto traverso. L’idea è di Mioara Moraru che con la sua associazione si impegna a presentare l’eccellenza dei ragazzi romeni della diaspora per combattere gli stereotipi che spesso vengono proposti sulla stampa italiana. Il gruppo Arpeggio & Roua, in abiti tipici, canta brani tradizionali ma anche una canzone in veneto e Matei Daniel esegue alcuni pezzi al flauto di pan.Tutti parlano in italiano, segno del grande desiderio di condividere con noi questo importante momento del folklore romeno. Tradizioni come queste hanno ancora un grande effetto anche dopo secoli e sono il volto più bello di una cultura che gli italiani spesso ignorano.
Elena Fratini
(10/03/2016)
Leggi anche:
TALENTI RUMENI: TORNA IL FESTIVAL PROPATRIA A ROMA
PROCULT FILM FESTIVAL: IL CINEMA ROMENO ALLA CONQUISTA DELL’ITALIA