Martedì 21 marzo, l’Auditorium del Goethe Institut di Roma ha ospitato giovani fotografi per parlare di “Underground – Viaggio nell’Italia avvelenata”, un progetto corale di inchiesta fotogiornalistica realizzato dagli allievi della Scuola di Fotogiornalismo dell’ISFCI, in collaborazione con l’associazione ambientalista “A Sud” e il Centro Documentazione Conflitti Ambientali. A raccontare il progetto, i due curatori Dario Coletti, Direttore Dipartimento di Fotogiornalismo e docente di Reportage e Manuela Fugenzi, docente di Fotogiornalismo, che hanno sintetizzato in meno di due ore un percorso lungo e impegnativo, che ha visto i giovani fotografi protagonisti del progetto lavorare con coraggio per indagare i drammatici risvolti dei disastri ambientali nelle aree più critiche dell’Italia, da nord a sud, passando per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna. Come si può leggere dal sito, che raccoglie le immagini e i video multimediali realizzati dal 2012 dagli allievi della Scuola di Fotogiornalismo, “UNDERGROUND intende indagare, per portare alla luce e alla coscienza collettiva questa drammatica quanto nascosta emergenza, restituendone i dati allarmanti così come la vita quotidiana, i paesaggi, le testimonianze, gli esiti delle politiche di recupero”.“La fotografia d’inchiesta si muove su un doppio binario”, spiega Manuela Fugenzi, “serve per incidere nel presente, creando consapevolezza, ma anche per lasciare tracce nel futuro”. Ed è questo lo spirito che anima il percorso formativo della Scuola di Fotogiornalismo dal 2003, un percorso che si basa su solide competenze, spirito di curiosità, voglia di sperimentare, ma soprattutto su una chiara e decisa etica professionale. Perché la fotografia, per Dario Coletti, che è anche autore di numerosi libri su temi antropologici e sociali, tra i quali 180 (Sinnos 1996) e Ispantos (2008), deve “analizzare, capire, ma anche guarire”. In questo senso, l’anima del progetto è anche politica: fare politica è avere un punto di vista e trasmetterlo agli altri, portando lo spettatore a riflettere sul mondo circostante.Le tematiche sociali, ma anche politiche, sulle quali Dario Coletti si impegna e vuole continuare a impegnarsi, sono quelle urgenti del disastro ambientale e dell’immigrazione. Il suo primo servizio professionale, risalente a trent’anni fa, era proprio inerente al mondo – all’epoca ancora sconosciuto – dell’immigrazione a Roma. “La Roma di quel tempo non era la Roma multiculturale di oggi”, spiega, “gli immigrati erano considerati una specie aliena in una grande città ancora piuttosto provinciale”.Oggi invece, la Roma dell’immigrazione, ma anche dell’integrazione, presenta un volto nuovo, polifonico: testimonianza di questa nuova prospettiva è la mostra fotografica “PiùCulture: migranti nel Municipio II di Roma”, realizzata grazie alla collaborazione dei redattori di Piuculture con i giovani fotografi dell’ISFCI guidati da Coletti, con la collaborazione Eliana Bambino, curatrice della mostra, che sarà possibile visitare fino al 14 aprile (l’ingresso è gratuito).Al termine della presentazione, gli allievi della Scuola si sono spostati nel foyer del Goethe Institut proprio per ammirare le fotografie nate da questo progetto. Tra di loro, erano presenti anche alcuni degli autori degli scatti esposti, che hanno raccontato ai visitatori la realizzazione e le idee alla base dei loro lavori. Le comunità islamiche, i campi nomadi, il volto giovane dell’immigrazione, ritratti e sguardi che trasudano umanità: il racconto visivo dell’immigrazione a Roma, che diventa una testimonianza preziosa del nostro presente. Così spiega il fotografo Davide Pagliani, autore del reportage sul campo nomadi situato sotto il Ponte delle Valli: “Voglio fare fotogiornalismo per avvicinarmi agli esseri umani e per produrre un qualcosa che sia meno patinato rispetto ad altri stili fotografici”.”Non è sempre facile fare fotoreportages nell’ambito di contesti migratori”, spiega Carolina Munzi, diplomata al master dell’ISFCI. “Fare ritratti può essere difficile, perché dietro quei volti ci sono storie inimmaginabili”.“Una foto è bella perché ha dentro tante cose, non deve avere solamente un piano, ma possedere una stratificazione che porta con sé vari livelli di lettura”, dice Manuela Fugenzi. E se si osserva con attenzione il lavoro di questi giovani fotoreporters, allora la scommessa degli ideatori del progetto, ovvero quella di fare una fotografia contemporanea che sia densa di contenuti, sembra assolutamente vinta.
Elisabetta Rossi(22marzo2017)
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