Lo spettacolo di danze e musiche dell’antica India, Lasya-il ritmo della preghiera femminile è andato in scena sabato 13 luglio, nello scenario suggestivo dell’anfiteatro romano della città di Sutri. L’evento è stato organizzato da Teatri di Pietra e dal Devi Kutir Studio – dove Devi in sanscrito significa DEA /radice DIV-splendere – a conclusione e coronamento di un seminario e workshop, realizzato da Ganga Devi Sheth, ballerina, coreografa ed insegnante di danza Odissi. Ganga ha riunito nella sua casa di Nepi, dove vive, altre sette donne, di diverse età e mestiere, provenienti da svariate parti del mondo, per ballare, studiare, parlare di preghiera e di femminilità, esplorare la propria spiritualità e vivere insieme il loro amore per la danza.
Lasya-il ritmo della preghiera femminile: il backstage
All’ingresso del magnifico anfiteatro, realizzato interamente in tufo, probabilmente tra gli ultimi decenni del II sec. a C. ed i primi anni del I sec. d.C., alle 18 del pomeriggio, con il sole che ancora illumina e tinge di giallo quella che una volta era una delle due porte d’ingresso e la cavea, Ganga ed una sua allieva sono impegnate ad allestire il palco. Sul retro, accostate al podio, elemento di separazione tra l’arena e le gradinate, le altre ragazze hanno cominciato a prepararsi e ad adornare il palcoscenico con candele profumate e petali di fiori. Sistemate in un angolo le divinità induiste della città di Puri, nell’Orissa, Jagannath, Subadra, Baladeva. -Jagannath è una delle forme del dio Kṛiṣṇa, Subadra e Baladeva sono i suoi fratelli- vengono omaggiate con candele, fiori e piccoli doni. Nel backstage si provano i passi di danza, si sciolgono i muscoli con esercizi ginnici, si comincia a raccogliere i capelli, a truccarsi. Si aprono i teli di colori brillanti, prevalentemente giallo-oro, per i Sari che si indosseranno in scena e che, sapientemente, vengono passati intorno alla vita per scendere ad avvolgere morbidamente entrambe le gambe, quel tanto da consentire tutta la gamma dei movimenti che prevede la danza Odissi. Ogni protagonista si decora la fronte con il Bindi o Bindu la goccia rossa, in questa occasione impreziosita da strass, a simboleggiare l’energia, il terzo occhio, il punto di raccoglimento energetico in cui il manifesto e il non manifesto si incontrano.
Lasya-il ritmo della preghiera femminile: la danza Odissi
La danza Odissi, trae le sue origini nello stato di Orissa, nell’India orientale, circa nel II secolo a.C. e veniva eseguita all’interno dei templi. Le devadasi (Deva “Dio” Dasi “Serva” dunque “Serva di Dio”) anche chiamate mahari, erano considerate spose della divinità e godevano di un elevato status sociale, ma la loro situazione di privilegio andò in declino nel periodo della colonizzazione inglese dell’India. Solo alla fine degli anni cinquanta, con il raggiungimento dell’indipendenza, il governo indiano riabilitò la danza indiana Odissi, elevandola allo status di danza teatrale classica nazionale. La danza Odissi è, quindi, una danza sacra e racconta le storie amorose tra Rahda e il Dio Krishna sulla base di un antico testo sacro risalente al 200 a.C..
Lasya è un termine della danza classica Odissi che indica l’aspetto femminile della performance, caratterizzato da movimenti delicati ed eleganti, eseguiti con precisione e grazia. Le espressioni facciali sono molto importanti, esprimono emozioni come l’amore, la devozione e la grazia femminile.
Lasya il ritmo della preghiera femminile: le danzatrici raccontano
Ganga ha due begli occhi neri, un viso dolce ed un portamento da ballerina, parla solo qualche parola d’italiano, si esprime in inglese “Quando ho visto questo anfiteatro per la prima volta ho subito pensato che avrei voluto realizzare in questo luogo antico uno spettacolo di danza sacra.” Ganga ha vissuto in India e negli Stati Uniti, è arrivata in Italia 4 anni fa. A Nepi ha creato, all’interno della sua casa, una scuola dove insegna yoga e danza indiana, disegna abiti, conduce seminari e workshop di danza Odissi e Bharatnatyam, per diffondere la cultura, la spiritualità indiana e la meditazione. “L’anno scorso abbiamo realizzato qui il primo spettacolo, scelgo sempre uno spazio sacro, per i miei spettacoli” e poi rivela “perché siamo fuori dai Templi e questa danza è essenzialmente arte rituale, un modo per ricongiungersi con la spiritualità che è dentro di noi e diffonderla, farne dono a chi la guarda”.
Enrica, arrivata dalla Calabria, vive a Roma dove insegna Yoga e fa la performer, mentre sistema le candele sul palcoscenico racconta “Lavoro nel settore dello spettacolo, mi occupo anche di arte circense. Ho letto l’annuncio di Ganga che invitava le danzatrici a partecipare ad un seminario finalizzato alla creazione dello spettacolo sulla femminilità e sulla preghiera e ho deciso di partecipare. Insieme a me c’erano altre danzatrici provenienti da altre parti del mondo: dall’India, dal Cile, dagli Stati Uniti, siamo state ospitate a casa di Ganga e abbiamo ballato nel suo studio e chiacchierato nel suo giardino. È stato molto bello incontrare tante persone diverse accumunate dallo stesso fine e dagli stessi interessi: l’amore per l’India e per la danza, intesa da Ganga come offerta spirituale agli altri e a Dio, ognuno al suo Dio.Mi auguro di poter continuare a collaborare con Ganga” conclude, mentre continua a preparare le lucerne e a spargere petali di fiori colorati.
“Non ballavo da 10 anni” racconta Dhana nata in Perù, è stata vent’anni in Australia e da due vive in India “nel frattempo ho avuto una figlia che ora ha dieci anni e balla anche lei molto bene” racconta con orgoglio “poi ho incontrato Vrinda Sheth, la cognata di Ganga, che insegna danza in una scuola indiana ed ho ricominciato a ballare” dice quasi meravigliata di trovarsi in questo luogo così speciale per esibirsi davanti al pubblico.
Vrinda è nata in Svezia “prima che io nascessi i miei genitori erano già devoti e appassionati di India, tanto da andarci almeno due o tre volte l’anno. Io ho iniziato a danzare quando ero molto piccola, per cinque anni ho frequentato una delle accademie di danza più famose dell’India del sud, la scuola di Bharatanatyam, poi sono andata a vivere negli Stati Uniti. Mio marito ed io siamo tornati in India da qualche anno” racconta Vrinda “lui è un musicista e un cantante ed abbiamo aperto una scuola dove io insegno danza Bharatnatyam e lui canti devozionali”.
Aparna Ghandhi è indiana ed abita a Puni, è l’unica del gruppo che, appena arrivata, sale sul palco, già perfettamente truccata, e inizia a danzare “sono istruttrice della danza Odissi in una scuola di Puni, ho studiato danza classica indiana per molti anni, è la prima volta che ballo in Italia” dice interrompendo i suoi esercizi “sono felice di essere qui e spero di poter tornare ad esibirmi in Italia”.
Infine arriva la giovane Syamesvari Dasi , ballerina e musicista, una cascata di capelli ricci e un viso sorridente, insegnante di Mrydangam, strumento a percussione simile ad un tamburo allungato “Sono originaria del sud America, ma ho vissuto in India e sono arrivata in Italia, a Roma, da qualche anno” racconta “questo è uno strumento molto antico, usato da sempre per accompagnare la danza Odissi. Ho imparato a danzare e a suonare da piccola, in India, ora insegno questo strumento on line, molti vorrebbero imparare a suonarlo ma ci sono pochi insegnanti. in questo periodo” aggiunge “ci sono, in Italia, tante persone interessate a studiare l’India e le sue tradizioni, sono molto conosciuti i Kirtan, mantra raccontati in forma musicale ed accompagnati da strumenti come questo” sorride e si rimette a suonare.
Lasya-il ritmo della preghiera femminile: lo spettacolo
Quando finalmente cala il sole e comincia ad arrivare il pubblico, le ballerine si raccolgono per un momento di concentrazione prima di esibirsi; si accendono le candele poste sul perimetro del palco e quelle che delimitano la platea degli spettatori, partono le basi musicali e Govi, compagno di Ganga, introduce ogni singolo ballo, spiegandone il significato.
Si crea subito un’atmosfera densa di emozioni e di partecipazione.
La prima danza “Rituale come Preghiera” le vede tutte sul palcoscenico come l’ultima, “Il grande Creatore”, è una rappresentazione corale e scenografica del rapporto con il Dio. Gli altri momenti di danza raccontano anche episodi della vita di Krishna, come “la ricerca di Krishna” che mostra la brava Vrinda Sheth narrare con i movimenti del corpo e la mimica facciale, l’eterno gioco d’amore tra Rahda e Krishna, considerati gli amanti supremi. Krishna, dopo un litigio con la sua amata è alla continua ricerca del suo perdono.
“ L’incontro tra tradizione occidentale e mondo orientale è un incontro naturale in un luogo come questo: Roma antica era già in connessione con l’Oriente” dice Govi, il compagno di Ganga, “Ogni danza è una lettera d’amore che risveglia una diversa emozione, una preghiera rivolta all’Amato, al Dio, esprime il desiderio insito in ognuno di noi di elevarsi, di entrare in contatto con la propria essenza più intima e di portarla in dono a chi guarda ed assiste, non è una semplice danza, ma un momento catartico per chi danza e per chi assiste allo spettacolo. Questo è il secondo anno che mettiamo in scena la danza Odissi” continua “l’anno scorso abbiamo fatto un viaggio nel Tempio della Dea, è stata rappresentata la ricerca della danzatrice verso la parte profonda del proprio essere, quest’anno invece si rappresentano le preghiere, sono dediche di amore, la figura femminile mostra tutte le diverse sfaccettature di devozione e di preghiera e le esprime attraverso il linguaggio della danza, un linguaggio che trascende la lingua, la religione e la storia perché è un linguaggio universale che arriva a tutti”.
testo di Nadia Luminati
foto di Alessandro Guarino
(16 luglio 2024)
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