Mediazione per un pensiero plurale

Ejaz Ahmad, mediatore culturale

Doppia cittadinanza, passaporti italiano e pachistano, Ejaz è sposato a Valentina Benedetti romana, ha due bambini di 4 e 8 anni, Jacopo e Ludovico, che somigliano equamente uno alla mamma e l’altro al papà.

La vostra coppia è un esempio pratico di intercultura, come vi trovate a Roma e in Pakistan? Bene. Del resto sono in Italia da più di 20 anni e a Roma da 12 anni; mia moglie è venuta molte volte in Pakistan; le nostre famiglie amano entrambi. I bambini vanno alla scuola S. Maria Goretti, hanno amici di quartiere senza distinzione di nazionalità; grazie a loro, anche noi frequentiamo coppie italiane, pachistane, miste. Abbiamo amici che hanno adottato bimbi stranieri. La varietà è ormai dentro le vite di tutti e lo sarà sempre più.

Come vedi il tuo lavoro di mediatore? Il confronto tra culture lo sperimentiamo ogni giorno, ma questo non basta a smontare i pregiudizi. Anche frequentando amici stranieri, possiamo mantenere paure del diverso, percepito come una minaccia oscura. Come la vedo io, la mediazione è un allenamento a coltivare un pensiero plurale, che serve a tutti ma particolarmente ai giovani; il loro mondo, ovunque andranno a vivere e lavorare, sarà popolato da persone che appartengono a culture diverse. Nelle nazioni così come nelle aziende più avanzate la mescolanza del fattore umano produce ricchezza. L’educazione al pensiero plurale non è di sinistra, non è di destra, serve al futuro. Per questo penso che sia utile il lavoro che sto svolgendo da anni nelle scuole di Roma, sia nei quartieri popolari – Tor Pignattara, Centocelle, Torre Angela – che nel quartiere Trieste e Parioli.

In quali scuole del Municipio II? Settembrini, Azzarita, Confalonieri, Lucrezio Caro e altre.

Quali sono le reazioni dei ragazzi? Ho notato che i ragazzi dei quartieri borghesi alla parola immigrato associano “badante” e “portiere”, mentre in periferia conoscono i tanti lavori normali svolti da immigrati, simili a quelli dei romani. Ho realizzato per due anni un programma in una scuola media e, per motivare allo studio ragazzi pieni di cellulari, raccontavo come funzionano le scuole nei paesi poveri, con quanta passione i loro coetanei, in un paese lontano, si impegnano nel farsi una cultura. C’è molto da fare coi bambini italiani, ma i finanziamenti per l’intercultura sono finiti, le scuole sono a secco. Mi piace, inoltre, condurre gruppi a visitare la moschea di Forte Antenne, la più grande d’Europa, molti abitano nel Municipio II e non la conoscono.

Come funziona la rivista Urdu a cui collabori? Urdu, da cui discende la parola italiana “orda”, significa accampamento; è un mensile di 8 pagine, con 5.000 abbonati, pubblicato anche on line (www.stranieriinitalia.it ) e distribuito come free press in call center, negozi e agenzie di viaggio frequentate dai connazionali. Curo la redazione della versione in pachistano. Due pagine sono dedicate ai servizi per aiutare i nuovi arrivati ad accedere al momento più brutto: sanità, lavoro, casa, creazione di impresa, ecc. Intervistiamo connazionali di successo, attualità pachistane, sport, cultura, ecc. Mi capita di partecipare ad altre pubblicazioni; è in uscita una collezione di storie di vita migranti provenienti dall’Asia.

Fai parte del Comitato per l’islam italiano, di cosa si occupa? Ci sono molte questioni irrisolte che andranno concordate con le comunità dei mussulmani stabilizzati in Italia; si tratta di regolare le festività, il ramadan, la macellazione della carne, l’ora di religione a scuola, la sepoltura nei cimiteri e altro ancora. Problemi concreti e urgenti; per fare un esempio, il cimitero di Prima Porta a Roma non ha più spazio per i nostri morti. Il comitato presso il Ministero dell’Interno, composto da una quindicina di associazioni, ha il compito di proporre un testo condiviso per arrivare a un accordo sottoscritto tra lo stato italiano e i rappresentanti delle comunità.

Contatti: eahmad62@yahoo.it