Gamaliel Churata scopre l’avanguardia nelle radici del popolo peruviano

Presentazione de Resurrecion de los muertos

Il concetto di morte è la conseguenza diretta del vuoto che Platone ha creato, con il mito della caverna, tra fallacità dei sensi ed autenticità dello spirito. I popoli andini, prima dell’arrivo dei conquistadores, non conoscevano la misura della morte così come in occidente si è abituati ad intenderla. E’ questo il centro del dialogo filosofico di Gamaliel Churata in Resurreciòn de los muertos, il testo inedito presentato venerdì 14 gennaio all’ambasciata di Bolivia, che ha ospitato e patrocinato l’evento insieme all’ambasciata del Perù. Hanno partecipato Eduardo Ugarteche, consigliere dell’ambasciata di Bolivia, un rappresentante dell’ambasciata peruviana e Sonia Castillo, dell’assocazione culturale Nuovi orizzonti latini che ha promosso l’incontro. Il libro, presentato e curato dal professore di letteratura ispanoamericana dell’università di Cagliari Riccardo Badini, approfondisce il pensiero dell’avanguardista peruviano che per tutta la vita si dedicò alla riscoperta dell’autentica identità del Perù, prima cioè che l’occidente irrompesse nella cultura del suo popolo.

Gamaliel Churata, pseudonimo di Arturo Peralta (Arequipa 1987 – Lima 1969) fu scrittore e giornalista. Nel 1932 abbandonò il paese a seguito della persecuzione del regime autoritario di Sanchez Cerro e per 32 anni lavorò in una redazione giornalistica in Bolivia. Già nella direzione della rivista letteraria Boletìn Titikaka si impegnò per il recupero della tradizione multiculturale del suo paese, della cultura andina e delle tradizioni Quechua ed Aymara. Avendo lavorato nella biblioteca di Puno, la sua città natale, Churata ebbe accesso a molti testi occidentali, dalla lettura dei quali recuperò alcune istanze. Quelle di Jung, ad esempio, riguardo la capacità del pensiero indigeno di sopravvivere alla sopraffazione della cultura dei conquistatori occidentali.

La volontà di Churata, spiega Badini, è di destrutturare la produzione artistica del suo tempo, dal punto di vista culturale, biologico, psicologico e linguistico, per riscoprire l’autentica visione andina del mondo separandola dal punto di vista occidentale, entrato con violenza nel paese. Churata comincia dalla lingua. In Resurrecion de los muertos utilizza differenti registri, dal trilinguismo, al neologismo, al recupero etimologico di parole indigene. Lo stesso protagonista del dialogo, il professor Analfabeta, rivendica solo nel nome l’oralità della cultura andina prima che i conquistadores imponessero il linguaggio scritto (e, ricorda Badini, “la letra con sangre entra”…).

La visione della morte, nei popoli andini, è diversa da come è considerata in occidente. I nostri antenati sono come semi, nascosti dentro di noi e da dentro di noi parlano, in una sorta di forma comunitaria del flusso vitale ed artistico. E’ questa una forma di lettura andina dell’inconscio di Jung. Con il mito della caverna, Platone, invece, ha sottratto all’uomo la centralità che la cultura andina gli riservava, creando una frattura tra spirito e materia, che le religioni occidentali hanno compensato con le speculazioni sulla morte.
Churata, ricorda Badini, ebbe un rapporto conflittuale con le istituzioni, il che ha portato il suo pensiero ad essere marginalizzato fino agli anni ’90. Questo testo che, dice Sonia Castillo, è stato premiato come miglior libro 2010 in Perù (oltre ad esser già stato piratato), dà nuovo slancio alla conoscenza della cultura andina e del pensiero dell’avanguardista Churata.

Davide Bonaffini
(17 Gennaio 2011)