Cecilia Bartoli è una socia di Piuculture, docente di Lingua Italiana. Quest’anno il suo volontariato è rivolto a una bambina cinese, alunna della scuola elementare Saffi, a San Lorenzo (Muncipio 3). Il metodo pedagogico è particolarmente innovativo per il nostro Paese.
Cecilia_BartoliDove ha appreso questa metodologia, in cosa consiste?In America, insegnavo Italiano e Cinema italiano all’università. L’incontro con un professore che lavorava sulle tecniche di apprendimento di lingua e matematica per gli stranieri mi ha aperto questa strada. Nei primi anni ‘70 lasciai l’insegnamento accademico e andai a lavorare con lui per circa venti anni. Poi, in giro per il mondo, mi sono occupata di formazione per i docenti e, tornata in Italia, avviai diversi progetti formativi per l’insegnamento delle lingue, in particolare a Trento.L’insieme delle metodiche che utilizzo può essere definito come subordinazione dell’insegnamento all’apprendimento: il docente passa in secondo piano rispetto all’allievo. Silent way, l’insegnante parla poco. Per questo, occorre fantasia; bisogna, innanzitutto, lasciare i ragazzi liberi. Quali strumenti utilizza come supporto?I_supporti_pedagogiciPer esempio, mi avvalgo di tabelle colorate, fondamentali per insegnare una lingua straniera. L’associazione dei colori e dei suoni aiuta a focalizzare l’attenzione. Vedere non è la stessa cosa che sentire, è un modo di rendere spaziale il tempo. E aiuta a memorizzare suoni diversi che lo straniero tenderebbe a confondere. Per un cinese, ad esempio, vedere colori diversi per consonanti come la “r” e la “l” può essere d’aiuto; impara a manipolare la lingua, le sue strutture. Utilizzo altri giochi come i semplici regoli, per sollecitare l’immaginazione. Le diverse forme possono trasformarsi in alberi, in fiori, diventando storie raccontate dagli stessi ragazzi. La loro attenzione aumenta, imparano con piacere.Quali sono le differenze rispetto al metodo classico?È un metodo sicuramente differente e difficile, i risultati arrivano con il tempo, non sono gli stessi previsti dai programmi scolastici, sicuramente. Occorre pazienza. E poi, trovo che sia più divertente anche per gli insegnanti. Consente di metterci in gioco e di stare in un clima sperimentale. In questo modo, chi insegna non diventa un modello, evita di inibire la partecipazione dei ragazzi. Ogni volta sono curiosa di capire come coinvolgere i ragazzi e imparo a mia volta.
(16 gennaio 2011)
Giuseppina Casciaro
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