Il risveglio della dignità araba

Ben Jelloun tra i suoi fan

Tahar Ben Jelloun, autore dell’instant book, La rivoluzione dei gelsomini. Il risveglio della dignità araba (2011) ha partecipato a una conversazione sul Maghreb, domenica 10 aprile all’Auditorium di Roma, nell’ambito dell’iniziativa Libri Come.

Lo scrittore, la poesia e il muro di Berlino. «Lo scrittore è un testimone attivo della propria epoca e deve prendere una posizione subito». Nel libro Ben Jelloun definisce questa rivoluzione «una poesia che sgorga dal cuore di un poeta che scrive sotto dettatura della vita, che si ribella e vuole giorni migliori». Come fosse caduto «un enorme muro di Berlino», come il ’68 del mondo arabo.

Kafaia! È arrivato il vento della libertà. «Il Mediterraneo oggi sta indicando la strada della libertà ad altri popoli, tutto è iniziato in Tunisia, poi in Egitto, avremo qualche difficoltà con Gheddafi in Libia e con Bashār al-Asad in Siria ma il vento della libertà girerà tutto il Mediterraneo» fino alla Giordania, all’Algeria, lo Yemen, «perfino la Cina ora ha paura e anche l’Europa deve averne, perché il modo in cui tratta questi immigrati è un modo che non rispetta l’uguaglianza. Arriverà anche in Italia», aggiunge. «Per la prima volta le persone sono scese in piazza spontaneamente e non contro l’Occidente ma contro i propri dirigenti. E non per chiedere il pane, ma dei valori», soprattutto «la dignità». Ma non è una rivoluzione ideologica, fondamentalista o partitica, è «una rivolta spontanea». In Egitto già 5-6 anni fa nacque una sorta di movimento di preparazione che si chiama Kafaia, “basta”: «il popolo a forza di essere schiacciato e umiliato si ribella, e questo non se l’aspettava nessuno. Ma invece è del tutto normale».

La sconfitta dell’islamismo. Un’altra cosa importante che Ben Jelloun ha sottolineato è che «gli islamici non hanno partecipato a questa rivoluzione». Al contrario, «ci sarà un conflitto con gli islamisti puri», anche se già si sta registrando una «sconfitta dell’islamismo su tutto il mondo arabo», che era «un alibi per i dittatori e un fantasma per il mondo occidentale. È una rivolta per creare uno stato finalmente stabile», in ogni caso «mai più ci saranno dittature come queste. La situazione di Tunisia, Egitto e Libia assomiglia al Marocco di 15 anni fa…»

«La Libia è un paese chiuso su se stesso» e proprio «Gheddafi è il rivelatore della cattiva politica araba» che considera il suo paese «proprietà privata». Ma anche l’Occidente ha una parte del «debito di sangue», soprattutto «Italia, Francia e Spagna che lo hanno ospitato pur sapendo che è un criminale che ha ammazzato civili e ha messo bombe su aerei», afferma Ben Jelloun ricordando il disastro di Lockerbie del 1988 in cui morirono 270 persone. «Soprattutto americani e francesi hanno accettato che comprasse la sua innocenza con milioni di dollari e questo non è possibile: come si può perdonare Gheddafi per dei soldi?» L’avvento di Obama ha sicuramente cambiato molte cose «e ha fatto bene a non intervenire in un terzo paese musulmano dopo l’Iraq e l’Afghanistan. Bisogna boicottare le dittature, è finita l’epoca in cui si stringe la mano a qualcuno che ammazza e con l’altra si firmano contratti. Non c’è motivo di accettare una cosa del genere».

«Il Marocco ha cominciato a cambiare da 11 anni con l’avvento di Mohammed VI che ha fatto riforme fantastiche. Anzitutto una cosa che nessuno aveva mai fatto nel mondo africano e arabo: ha aperto i dossier della repressione ai tempi del padre» – Hassan II, che assunse un rigido sistema dittatoriale durante quelli che furono definiti “anni di piombo” come da noi, ma che durarono dagli anni ‘60 agli anni ’90 – «ha quindi ascoltato le vittime e versato indennità, ha modificato il codice della famiglia per dare maggiori diritti alla donna, ha costruito infrastrutture». Il 9 marzo scorso il re ha inoltre annunciato una riforma della costituzione: «per dare un forte impulso alla democrazia e alla profonda dinamica riformatrice in corso» ha dichiarato. Insomma «è stato il Marocco ad aprire la strada di questo vento. E credo che la sua rivoluzione sarà senza violenza».

L’arma è facebook. Il pugno è femminile. Il noto social network pare abbia e stia avendo un ruolo fondamentale: «è uno strumento che si è schierato per la liberazione». Niente rende meglio di una barzelletta egiziana, «un popolo famoso per raccontare barzellette e storielle», che ha una certa finezza, a noi sconosciuta: «Mubarak muore e va all’inferno, qui trova Nasser, ex presidente della Repubblica morto per crisi cardiaca, e Sadat ucciso dagli islamisti nell’’81. Gli chiedono: “Come sei morto? Armi? Veleno?”, “No, facebook”». Aggiungendo che «nel mondo arabo sono sempre le donne che fanno evolvere le cose: in Marocco tutte le iniziative della società civile sono gestite da donne. Non è una novità». Dopo la rivolta «la prima cosa da eliminare per la crescita è la corruzione», cosa che dovrebbe fare anche l’Italia visto che si trova al 67esimo posto nell’indice internazionale sulla percezione della corruzione. In un passo del libro Ben Jelloun descrive una situazione che si ripropone anche nel nostro paese: «l’economia del paese è messa in ginocchio da questo fenomeno contro il quale le lezioni di morale hanno lo stesso effetto di una pisciata nel deserto». È difficile da eliminare perché «la corruzione è invisibile, una cosa molto maschile: le donne potrebbero risolverla. “Noi vogliamo vivere nella modernità”, scrive una blogger marocchina, ed è questa la novità».

Ondate migratorie e democrazia. «Penso siano momentanee, perché paesi come la Tunisia e l’Egitto recupereranno il denaro rubato dai dittatori investendolo nel paese e poi lo farà anche l’Europa, a quel punto non ci saranno più immigrati clandestini. Perché hanno il turismo, la Libia e l’Algeria sono ricchissime, tutta l’Africa del Nord è ricca. Ma bisogna aiutare la democrazia a nascere, investendo e cambiando subito la politica con loro. Creare lavoro nei paesi d’origine per fermare queste ondate di immigrazione». Una cosa è sicura: «il coraggio di scendere in piazza nonostante ti sparino, morire per il proprio paese ormai ce l’eravamo dimenticato. Come il libico che informava la CNN attraverso il suo blog» ed è stato ammazzato, si chiamava Mohammed Nabbous. «I giovani che studiano fuori sono tornati per la rivolta, con il discorso dell’individuo, con il rispetto per la persona…» Ora che si è sacrificato in suo nome, «non si potrà più dire che il mondo arabo è allergico alla democrazia», perché la democrazia «non è un gadget ma una cultura che inizia in casa propria».

Alice Rinaldi(14 aprile 2011)