Canto per i migranti. Una rappresentazione civile

In un tardo pomeriggio di maggio a Largo San Bartolomeo sull’Isola Tiberina qualcuno accorda degli archi. Tra lo stupore  dei turisti che passeggiano nel tiepido sole primaverile e la curiosità dei passanti che rallentano l’andatura, un gruppo di musicisti dispone i propri strumenti come se si trovasse sul palco di un teatro. Alle loro spalle si sistema il coro secondo il canonico semicerchio, davanti i soprani e i contralti più in fondo i tenori coi bassi.E’ il 6 maggio, a un mese esatto dal naufragio nelle acque di Lampedusa in cui  morirono più di 250 migranti, i musicisti di Resistenza Musicale Permanente si sono riuniti “per testimoniare il ricordo e il dolore per tutte le persone che hanno perso e perdono la vita in questi viaggi della speranza.” Il programma è quello di compiere un percorso simbolico diviso in cinque atti lungo il fiume, dall’Isola Tiberina fino a Castel Sant’Angelo.

A un primo sguardo, elegantissimi nei loro abiti neri da concerto ravvivati da sciarpe di colori brillanti, dal giallo all’arancione dal rosso vermiglio al viola, i musicisti appaiono magicamente fuori posto. Quasi come se per uno strano sortilegio lo sfondo alle loro spalle fosse improvvisamente cambiato sostituendo le quinte con la facciata della  chiesa di San Bartolomeo e l’antico Ponte Cestio, il palco coi sampietrini. Un osservatore più attento però, non può non notare un certo grado di eterogeneità tra i componenti dell’orchestra e del coro: a eleganti signore ingioiellate si affiancano ragazze dall’aria alternativa, c’è persino una giovane mamma che tiene la propria bambina per mano. Il trombettista avrà poco più di vent’anni e una massa di dreadlocks ordinatamente raccolti in una coda, non molto più indietro un tenore con la barba grigia e l’aria severa potrebbe essere suo padre. E’ esattamente questa commistione di età,  stili e tipologie diverse il “quid” della Resistenza Musicale Permanente un movimento spontaneo nato da un’idea della cantante di musica da camera Anna de Martini. In occasione della manifestazione del 13 febbraio scorso per la dignità delle donne, la de Martini ha radunato colleghi e amici con l’intento di scendere in piazza ad eseguire il Dies Irae di Mozart. Il desiderio era quello di dare massima espressione al comune dissenso rispetto all’attuale situazione politica italiana. “Perché le parole non servono più a nulla, le spiegazioni non bastano”

L’iniziativa si è rivelata un successo, molti colleghi hanno preso via via a contattarla fino a formare una vera e propria orchestra, variamente assortita, che ha partecipato alle diverse manifestazioni di protesta susseguitesi a cavallo tra la fine dello scorso inverno e l’inizio di questa primavera. “A seconda delle varie occasioni può capitare che cambi la composizione del coro, chi ha dato disponibilità una volta potrebbe scegliere di non partecipare quella successiva perché non condivide i motivi specifici della manifestazione. Non siamo un gruppo che desidera connotarsi dal punto di vista politico, sono le questioni etiche ad interessarci maggiormente, quello che vogliamo mettere in atto è una forma di protesta, un modo per dare voce alla nostra rabbia e condividerla. Pubblicizzare la Resistenza Musicale Permanente non ci interessa, noi vogliamo fare resistenza musicale permanente. ” Il 12 Marzo Anna de  Martini e i suoi musicisti erano a Piazza del Popolo in difesa della Costituzione, il 26 a Piazza della Repubblica intonavano il proprio dissenso rispetto alla privatizzazione dell’acqua pubblica e all’introduzione del nucleare, il 30 davanti a Montecitorio cantavano con sempre maggior vigore la loro stizza per l’approvazione della legge sul processo breve mentre il 5 Aprile partecipavano alla Notte Bianca della Democrazia. “Proprio il giorno seguente è nata l’idea della commemorazione lungo il fiume, ci siamo riuniti per discutere dell’evento della sera prima e ci siamo trovati tutti sgomenti alla notizia dell’ennesima sciagura avvenuta a largo di Lampedusa. Abbiamo deciso così di venire a cantare sull’acqua. Non avevamo intenzione di organizzare un’iniziativa in favore degli immigrati, non siamo in possesso degli strumenti necessari per un’operazione del genere, anche perché in situazioni simili il rischio di scivolare nella demagogia è molto alto. Tutto quello che ci interessava era esprimere la nostra rabbia e la nostra vergogna.

Il pubblico si accomoda in platea, sul muretto che costeggia la piccola piazza o sui gradini ai piedi della guglia al centro di Largo San Bartolomeo. E’ l’ora del tramonto, il sole inizia a calare dietro i platani  sull’altra sponda del Lungotevere, proprio come le luci del teatro che lentamente si abbassano all’inizio dello spettacolo.

Ad un cenno deciso del direttore d’orchestra parte l’esecuzione del Dies Irae di Mozart : “Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus”. intonano quasi come monito soprani e contralti coi tenori e i bassi che fanno loro da eco “Che terrore vi sarà quando arriverà il giudice, che esaminerà tutto severamente ” . Lo stralcio del Requiem viene eseguito per ben due volte poi i musicisti iniziano lentamente a sfilare, abbandonano lo slargo davanti alla Basilica e attraversano il Ponte Cestio . Le signore che fanno parte del coro procedono a gruppetti con gli spartiti in mano, chiacchierano fitto fitto tra loro, una di queste ci spiega: “Anche dal punto di vista musicale siamo un insieme molto misto, a professionisti di grande spessore si affiancano persone che cantano per semplice diletto.  Entrambi i livelli sono importanti però, è fondamentale che il brano regga dal punto di vista musicale ma altrettanto importante è la partecipazione corale. Sempre più spesso capita che anche il pubblico si metta a cantare, si creano così momenti di grande condivisone. E’ proprio questo uno dei nostri obiettivi: migliorare noi stessi e gli altri attraverso la condivisione, appunto. ” Il pubblico segue a ruota, un po’ incuriosito dallo snodarsi di questo spettacolo itinerante un po’ estasiato dalla potenza suggestiva che sempre ha la musica eseguita negli spazi aperti di particolare bellezza.

Dopo aver attraversato il ponte, i componenti dell’orchestra scendono sugli argini del fiume, ad accoglierli il Coro a bocca chiusa dalla Madama Butterfly di Puccini eseguito da un altro complesso di voci. “E’ la prima volta che questo gruppo prende parte alla Resistenza Musicale Permanente” ci spiega Anna de Martini “è successo quasi per caso, giovedì scorso eravamo a provare in una sala messa a disposizione da un amico ed ad un tratto ci siamo accorti che nello spazio antistante c’era un altro coro che si esercitava, ad un primo ascolto c’è sembrato persino più bravo di noi! Quando abbiamo spiegato quello che stavamo organizzando però, non hanno esitato ad accordarci la loro disponibilità. Questo a sottolineare la totale spontaneità e il pizzico di improvvisazione che caratterizzano ogni nostra iniziativa “

Le ultime note del coro della Madama Butterfly sfumano nell’aria, sessanta musicisti si imbarcano su un battello che risale lentamente il fiume verso Castel Sant’Angelo, lungo il percorso intonano l’intero programma della serata: dal Jesu meine Freunde di Bach all’ Et Misericordia dal Magnificat di Vivaldi, indugiando nuovamente sul Dies Irae di Mozart e su Va Pensiero di Verdi.Da ponte Sisto fa loro eco un altro coro di donne avvolte anch’esse in sciarpe colorate. Il pubblico continua a seguire dagli argini. Un ragazzo somalo, che all’inizio si preoccupava scherzosamente della possibile presenza di coccodrilli nel fiume, ora appare visibilmente colpito dal livello di partecipazione della gente. Si domanda se tutti coloro che hanno scelto di prendere parte alla commemorazione abbiano avuto legami col suo paese d’origine o se semplicemente agiscano per una questione di sensibilità personale. “Non credo abbia molto senso classificare la tipologia di persone che aderisce a questa iniziativa” risponde un uomo al suo fianco “siamo indubbiamente tutti amanti della musica, ma sopratutto cittadini che avvertono l’esigenza di dimostrare la propria indignazione”.

All’arrivo a Ponte S. Angelo i musicisti abbandonano il battello, altri due cori disposti lungo le scalinate che conducono agli argini intonano canzoni popolari e di protesta.  Appare suggestivo il tentativo di appropriarsi degli spazi attraverso la musica, si canta e si suona sull’acqua, sugli argini, sui ponti fino a ricongiungersi tutti davanti al Castello. Qui i due semicerchi si uniscono in un unico circolo, i musicisti e i cantanti si mischiano al pubblico che assiste, il direttore d’orchestra senza sapere bene da che lato rivolgersi  da il là per l’ultima esecuzione di Va Pensiero. Questa volta cantano tutti, si avverte palpabile quel senso di condivisione di cui ci parlavano i componenti del coro.“Del Giordano le rive saluta..” ormai è scesa la notte, un gruppo di bambini torna sugli argini del fiume per affidare alla corrente una processione di barchette di carta illuminate da candele. La luna già alta si specchia nel fiume, tutto intorno i lumicini lasciati scivolare in acqua su piccole imbarcazioni di fortuna sembrano formare buffe costellazioni.

“La musica, come le altre arti, può considerarsi un mezzo di unione tra gli uomini” sosteneva lo scrittore russo Lev Tolstoy , indubbiamente questa sera attraverso la musica un gruppo di persone ha tentato di unire simbolicamente due rive, forse non solo quelle del Tevere.

Irene Ricciardelli ( 9 maggio 2011)