(24 maggio) Ecuador-Madagascar 6-0 Un risultato secco, “tennistico” lo definisce il sito di Mundialido e che potrebbe portare chi non ha guardato la partita a valutar male: non è che il Madagascar non giochi, anzi. Questa squadra può dare problemi: semplicemente davanti all’Ecuador è “sotto”, sia per il profilo tecnico del gioco di squadra, ma anche nella fiducia in sé. Il morale, l’Ecuador sa farlo abbassare. Rick, un tifoso malgascio, nel dopo partita mi dice un po’ sconsolato: “E’ solo un mese che ci si allena, non si può arrivare con tempi di preparazione così brevi”. Poi aggiunge: “Comunque noi siamo un popolo a cui piace partecipare, il risultato per noi è meno importante.”
Mentre Andres Santos, l’organizzatore che ha introdotto l’Ecuador nel torneo, intorno alla mezzanotte, dopo brindisi e chiacchierate mi dice “Gli anni scorsi non abbiamo vinto: anche quest’anno ci sono squadre forti, ma stiamo puntando alla coppa”.
L’Ecuador è metodico come una goccia che cade, tre “pallini” nel primo tempo, tre “pallini” nel secondo.
Questi 6 goal non sono solo occasioni fatte fruttare in mezzo alla stanchezze o agli errori difensivi del Madagascar: l’Ecuador è una persecuzione, pressa bene a tutto campo e fiacca già dalla metà del prato.
E’ su questa difesa assillante pensata col cervello e fatta di buone gambe e fiato che l’attacco fiorisce solido e senza particolari timori di restar poi scoperti dietro: sostenuto, veloce, proprio in virtù della difesa nasce spesso e bene dai contropiedi, che sono “spremuti” in tutte le loro possibilità. Anche recuperando palle difficili, di quelle che normalmente si lasciano perdere. Centrocampo e punte hanno individualmente un ottimo dribbling che fa da jolly nei momenti difficili. Nel complesso le geometrie degli scambi ipnotizzano: sono difficili da prevedere anche da chi la partita può guardarla comodamente dagli spalti ed ha una visione globale sull’evolversi delle posizioni dei giocatori.
In ordine vanno così a segno “Tito” Titorene Plaza, Fredy Ferreira, Jesus Benitez. Primo tempo.
Nel secondo tempo il gioco e l’ideazione dell’assist restano collettivi, ma se si esclude una rete con fuori gioco di Bolivar Jara ,-’Ecuador lascia lo scatto di reni finale, letterale per il 4° e 5° goal che sono incursioni di testa, a Augusto Torres. Due goal cercati e realizzati individualmente, non solo ben “serviti”.
Di pari passo con i flussi migratori … Il tifo malgascio in modo composto, silenzioso, sportivo e sereno si allontana poco dopo la fine della partita.
Si ferma per i festeggiamenti l’Ecuador: i giocatori della squadra in maglia gialla negli ultimi 10 anni si sono formati, e tuttora si formano, in altri tornei, anche di calcetto e calciotto. Un decennio che coincide con gli anni nei quali l’Italia è diventata sempre più un paese d’immigrazione. E la squadra come un calco e un riflesso dei flussi ha messo a punto ruoli e nuove entrate. Così qualcuno si è aggiunto alla squadra solo da tre anni, altri si sperimentano da otto, il numero di partecipazioni al Mundialido dell’Ecuador.
Fredy, il 5, è un omone, a fine partita zoppica un po’ e lamenta la scarsità di lavoro per gli Ecuadoregni maschi. Non si ferma a festeggiare: deve badare alla piccola figlia la cui manina scompare in quella immensa del padre mentre si avviano verso il cancello d’uscita.
8 ore di fermo: una storia tipica – Andres insieme al coach Alfonso Cervantes sono tra i pochi senior che, tra giocatori e tifo, l’Ecuador ha portato qui al campo della Spes Artiglio.
Andres in passato giocava, poi ha avuto un incidente col motorino, sono arrivati i problemi alla schiena e un po’ di rimpianti per quando poteva correre. Ora lavora come trasportatore, per lo più insieme a italiani, parla la nostra lingua in modo abbastanza raffinato, utilizzando anche precisi termini tecnici.
“Ti racconto una cosa che è successa a me, ma te la dico perché riguarda tutti o comunque tanti, non è affatto solo la mia storia. Nel 2003 non ero ancora regolare, lavoravo, facevo il mio dovere, ovviamente in nero. Stavo a piazza Mancini a scrivere qualcosa sul mio cellulare, la polizia arriva e mi porta in carcere: fortunatamente sono rimasto lì solo 8 ore. Ma il punto è che mentre sei in nero e non sei regolare sei vittima di tutto, nel lavoro, nella vita. Siamo automaticamente vittima di autoritarismo. Poi ci sono cose che davvero non capisco: ho un’amica, Diana, che è in regola sia per la presenza in Italia che per il lavoro: fa la badante. Ha avuto un’operazione, si è dovuta fermare due mesi: e per due mesi non ha visto un soldo. Perché la vostra legge per colf e badanti non prevede la malattia?”
Marco Corazziari
(27 maggio 2011)