Ius soli vs Ius sanguinis

uno screen shot del documentario 18 ius soli
Nel nostro paese la legislazione per il rilascio della cittadinanza agisce come un sistema immunitario che rigetta, come a seguito di un trapianto, gli italiani di seconda generazione malgrado la globalizzazione diffusa. Lo stato lesina sul rilascio della cittadinanza e la concede alla stregua di un titolo nobiliare.Può spiegarci quale calvario psicologico – e non – sia combattere con lo “ius sanguinis” – il diritto di avere la cittadinanza se figli di cittadini – chi, a partire dal diciottesimo anno d’età, vive nel proprio paese che quotidianamente ricorda loro di essere ospiti in virtù dell’origine straniera.Sabato 28 maggio la comunità di seconda generazione si è incontrata alla biblioteca Flaminia per presentare un documentario di Fred Kudjo Kuwornu intitolato 18 ius soli – il diritto d’essere italiani, e per discutere del riconoscimento del titolo di cittadino a chi è nato, vissuto e si è formato qui.Nel documentario volti asiatici, dell’est, dell’Africa e di tutto il mondo, raccontano in perfetto italiano cosa vuol dire trovarsi nel limbo legislativo dello ius sanguinis. Parlano della difficoltà del sentirsi a casa ma trattati come ospiti. Il film dimostra con quanti problemi siano costretti a convivere i G2, grattacapi sconosciuti ai coetanei italiani “di sangue”: dal razzismo dei cori da stadio alle contradizioni burocratiche. Raggiunta la maggiore età devono decidere cosa fare perchè la loro permanenza in Italia è subordinata a motivi di lavoro o di studio, pena il rimpatrio nel poco conosciuto paese dei genitori.Il passaggio ad un sistema di cittadinanza basato sulla nascita e la formazione piuttosto che sulla discendenza è entrato nel dibattito politico: nel video sono riportati interventi degli onorevoli Sarubbi e Fini, ma constatata la lentezza della legislazione ad adeguarsi, sembra che l’argomento sia destinato ad arenarsi di fronte ad altre priorità.Con sacrificio, dignità ed umiltà, i ragazzi di seconda generazione continuano a lottare, come ci racconta per esperienza personale Margherita Battaglia, che di questa comunità è rappresentante. Arrivata ad undici anni del nostro paese, sa bene cosa vuol dire essere un G2: lungaggini, contraddizioni ed oneri burocratici, pagare un’insegnante privata di italiano per non perdere nessun anno scolastico, venire esclusa dai concorsi pubblici. Il tutto dimostra che l’impegno dello stato per rimuovere gli ostacoli che impediscono all’individuo la piena realizzazione di sé – a partire dal diritto allo studio – come sancito nell’articolo tre della costituzione, è un onere puramente formale.Margherita ed i ragazzi del documentario ci raccontano di un’integrazione tangibile ed autentica che, nonostante gli ostacoli, non desiste e si manifesa ad una velocità superiore rispetto i tempi dell’agenda politica che, tra ritardi e contraddizioni, non è stata ancora in grado di fornire una risposta formale ad una nuova italianità maturata già nella sostanza.

D. B.31 maggio 2011