Paraguay italiano: l’indipendenza è donna

Festeggiamenti con la bandiera paraguaiana
Balli, volti – Nella Chiesa di S. Valentino al Villaggio Olimpico Don Fabio Bartoli, il parroco, ospita da tempo, ufficialmente, le riunioni domenicali della comunità paraguayana. E’ domenica 15 maggio, per i paraguayani è la Festa della Donna, nonché l’anniversario dell’indipendenza dalla colonizzazione spagnola. Questo 15 maggio, però, ha la rarità di certe comete: è anche il bicentenario dell’indipendenza ottenuta nel 1811.Questa intersezione, tre celebrazioni che solo una volta al secolo si incrociano, per la comunità immigrata in Italia acquista un sapore particolare. All’inizio del pomeriggio, un’ora prima della messa officiata dai due preti paraguayani, Padre Antonio Romero Jarà e Aldo Bernal, che sono in qualche modo anche animatori e collante umano e spirituale per la comunità, in una piccola sala nei pressi della cappella i paraguayani cantano, accennano piccoli balli e sorseggiano il terere.Cesare e Nieves, marito e moglie, sono laici organizzano canti per la messa con tutta la comunità, partecipano, mediano. Cesare ha il volto di un paraguayano, ma quando parla si capisce che è italiano, sardo per l’esattezza; Nieves, che ha un volto da Europa continentale e la cadenza spagnola: è paraguayana; dagli antenati svizzeri ha ereditato carnagione ed occhi chiari.William, 37enne congolese sta completando il percorso vocazionale e vuole conoscere un po’ meglio la comunità paraguayana. Il giovane africano, come altri qui, è parte della congregazione religiosa degli Scalabrini, composta anche da laici, che da sempre si occupa di migranti, da quando Mons. Scalabrini a cavallo tra ‘800 e ‘900 decise di adoprarsi per loro, dei migranti che allora partivano per “l’America”: gli italiani.Energia – Inizia la messa: ovviamente in spagnolo. Le litanie e gli alleluja creano una sensazione particolare in chi è italiano. C’è distanza dalle frasi rituali che siamo abituati a pronunciare nella nostra lingua e  al contempo un forte senso di vicinanza a una cultura altra: melodie dei cantati, significati e scansione rituale delle parole restano infatti identici.I presenti saranno un’ottantina, quando i canti iniziano non sono monopolio dei chierichetti, ma un’onda sonora umana che coinvolge tutti i presenti. Emanano calore.A fine messa vengono sfoderati e dispiegati due, tre metri di bandiera del Paraguay, è questa la protagonista imprescindibile della foto di gruppo accanto all’altare. Prevalgono le donne. Così come sono donne, più o meno giovani, quelle che rompendo le fila, sfoderano delle compatte e con una naturalezza felina, priva di sgarbo o rumore, saltano sulle panche di legno per fare foto a tutto il gruppo da una posizione ideale. Padre Antonio e Aldo Bernal lasciano fluire l’energia sorridendo.Un misto di devozione, rispetto, euforia e baldanzosità latinoamericana.Migranti di ieri e di oggi – Sino all’ 89 il migrante paraguayano è stato un esiliato politico che si salvava la vita fuggendo il feroce regime dittatoriale di Stroessner. Successivamente inizia una migrazione massiva verso il mondo che ha ragioni socio economiche ed è quella che riguarda l’Italia.I paraguayani in Italia però sono, rispetto ad altre comunità immigrate, un numero assolutamente esiguo: il rapporto Caritas di fine 2010 parla di 1250 presenze nel nostro paese, 159 nel comune di Roma. Una realtà poco visibile, come la collocazione geografica del Paraguay spesso ignota agli italiani,  incastonata nell’entroterra tra  Paesi ben più frequentati dal nostro immaginario come Brasile ed Argentina.Una comunità di donne – Come per altri popoli immigrati c’è una prevalenza di genere tutta femminile, “90% sono donne” per Rosanna, spigliata paraguayana dall’antica discendenza italiana “e il principale ambito lavorativo sono l’assistenza alle famiglie: badanti e colf”. Buona parte delle donne che arrivano in Italia hanno tra i 20 e i 25 anni, sono una piccola minoranza quelle che hanno o avranno sia marito che bambini accanto. A trainare la difficile economia paraguayana, in ripresa, dopo la soia e la canna da zucchero ci sono proprio le rimesse inviate da queste donne da tutto il mondo.Questo 15 maggio è domenica, è il loro giorno libero, staccano dal lavoro e dalle 9 alle 19 il mondo è loro. 10 ore che sono un simbolo. Le celebrazioni. La cultura paraguayana è prevalentemente orale e infatti questo bicentenario per loro è più una celebrazione di quanto non sia un ripercorrere tappe storiche o date. Una cultura orale, tramandata per via familiare, in guaranì, la lingua pre-colonica, lasciata umanamente e volontariamente intatta dall’evangelizzazione gesuita. E’ la lingua delle madri, delle canzoni popolari, del contesto intimo.Domando se questa dimensione orale, del canto, dei balli siano un’unica cosa con la comunità, con il ruolo della donna, con il loro senso di famiglia? Inscindibili? Rosanna che è estroversa, ride spesso, racconta vari aneddoti e conclude con un proverbio “O ñe’e ñe’e ha o topa i gente” parlando, parlando esce che sei famiglia.

Marco Corazziari(18 maggio 2011)