Un taglio alle Mutilazioni Genitali Femminili

                 Foto Jacopo Rinaldi

Abandoning FGM on FM! è un programma sulle Mutilazioni Genitali Femminili, coordinato da Aidos, Associazione Italiana Donne per loAbandoning FGM on FM! è un programma sulle Mutilazioni Genitali Femminili, coordinato da Aidos, Associazione Italiana Donne per loSviluppo, e realizzato da Audiodoc, Associazione italiana di autori e autrici indipendenti di documentari audio. Il programma sfrutta la radio come media più diffuso ed efficace in Africa nell’ambito delle campagne per l’abbandono della pratica delle MGF.

L’esperienza di Khadidiatou. Per capire una questione così complessa come quella delle MGF vi racconto i dati del rapporto Aidos, la ricerca, presentata a Roma, che è stata effettuata in Kenya da Audiodoc e, soprattutto, le parole di Khadidiatou, una giovane ragazza senegalese che vive a Roma. Laureata in sociologia, 29 anni, sta studiando per il dottorato su Inclusione delle persone con disabilità presso la facoltà di Scienze Motorie al Foro Italico. Appartiene all’etnia Haal Ullar che pratica le MGF sulle bambine di circa 5 anni. Anche lei l’ha subita, ma per fortuna «non ricordo nulla» e oggi è fermamente contraria a questa pratica. Mi racconta che «la popolazione ci crede molto, serve a preservare la verginità della donna, dietro c’è un discorso di onore…»

Mutilazioni Genitali Femminili/Escissione. Ma partiamo dall’inizio. La MGF/E è una pratica tradizionale “di purificazione” diffusa in 28 paesi africani e alcuni asiatici, effettuata durante l’infanzia e prima della pubertà. Sono 130 milioni le donne nel mondo che hanno subito una qualche forma di MGF e sono 3 milioni le bambine che rischiano ogni anno. L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne distingue tre tipi: circoncisione (resezione del prepuzio clitorideo), escissione (resezione del prepuzio e della clitoride), infibulazione (escissione parziale o totale di prepuzio, clitoride, piccole labbra e cucitura della vulva). Si tende ad associare le MGF con l’Islam, eppure «nell’80% del mondo musulmano questa pratica è sconosciuta. Nei tempi antichi era radicata in alcune parti dell’Arabia e dell’Africa». Quindi perché questo pregiudizio? Secondo Khadidiatou, «nonostante non sia scritto da nessuna parte nel Corano, per l’Islam il concetto di purificazione è molto importante», da qui una posizione un po’ ambigua che «né accetta né vieta». L’emigrazione, infine, non sempre preserva dalle tradizioni: ci si rifugia in esse e spesso un viaggio di ritorno in Africa convince la madre ad effettuare la pratica sulla figlia che non è nata in Africa. «È per non essere messi da parte dalla comunità, perché le radici si sentono molto forti e chi è rimasto in Africa sollecita a non dimenticare i propri valori». D’altra parte quando si emigra «c’è anche un impegno di apertura a un’altra cultura e questo può aiutare a riflettere, ad avere una visione oggettiva, senza per questo dimenticare».

Aidos e Audiodoc. Aidos lavora sulle MGF dal 1986, realizzando il primo portale informativo, StopFGM/C!, in inglese, francese e arabo. Il primo intervento sul campo è stato in Somalia, poi sono stati coinvolti altri paesi: Etiopia, Sudan, Nigeria, Gambia. La collaborazione con Audiodoc iniziò in via sperimentale nel 2008 a Ouagadougou in Burkina Faso. Nel 2010 l’obiettivo del progetto era formare 16 giornalisti radiofonici provenienti da Kenya, Tanzania ed Etiopia sulla produzione di audiodocumentari. L’associazione ha presentato i risultati a Roma durante il Festival Women On Waves insieme a Sister Fa, cantante hip hop senegalese, Jonathan Zenti e Beatrice Rappo, autori di Audiodoc, due giovani ragazzi che hanno condotto la ricerca sulle MGF in modo molto immersivo e interessante.

Le parole utilizzate dagli studenti di Nairobi, divisi in uomini e donne, per descrivere le MGF

Tre missioni. La prima, nel maggio 2010, aveva come obiettivo il contatto con il territorio e la raccolta di materiale, tra cui una serie di interviste a esperti e donne che avevano subìto la pratica. La seconda riguardava un workshop tenutosi a Nairobi a settembre 2010 con 16 studenti dell’università. Durante la presentazione al Festival Jonathan Zenti ha raccontato che il workshop iniziò chiedendo a ragazzi e ragazze «cosa sono le MGF?», mostrandoci il foglio originale, che aveva incorniciato, dove si possono leggere le parole che gli studenti utilizzavano per definirle. Quelle ricorrenti erano parole dure come tradition, fear, responsability, witchcraft, law e ignorance (tradizione, paura, responsabilità, stregoneria, legge e ignoranza) e due sole affettive: love e family (amore e famiglia). Da notare che le donne in più hanno parlato di silence, pain e bravery (silenzio, sofferenza e coraggio). Da queste parole è partita la ricerca che, alla fine, ha prodotto la terza missione: due audio documentari poi diffusi via radio, uno spot e un’intervista a un gruppo musicale locale. Un approccio interessante perché non si è trattata della solita campagna pubblicitaria di prevenzione sociale asettica, ma piuttosto realizzata con voci delle donne che raccontano le loro vere storie, intervistate nei luoghi in cui vivono, come sottofondo i suoni d’ambiente, versi d’animali e canti.

MGF e salute. Le MGF possono avere gravi conseguenze sulla salute, sia a breve che a lungo termine. Emorragia, shock, infezioni, ritenzione urinaria, lesioni dei tessuti, tetano, infertilità, cheloidi (formazioni fibromatose cutanee che possono restringere ulteriormente l’orifizio vaginale), cisti, neurinomi (l’intera area genitale diviene ipersensibile e causa dolori permanenti molto forti), calcoli, fistole (perforazioni tra vagina, vescica e retto che portano a una continua perdita di urina e feci che possono segnare la vita delle donne fino a trasformarle in reiette della società), disfunzioni sessuali, complicanze durante gravidanza e parto, oltre a una serie di problemi psicologici. «Le MGF hanno solo aspetti negativi», sottolinea Khadidiatou, «poi dipende anche dalla donna: le mie sorelle per esempio dicono di non avere nessun problema. Ma l’infibulazione è sicuramente la forma più grave: è quella che crea complicazioni con il parto e può portare all’ostracismo sociale per via delle fistole. Comporta anche una doppia violenza, alla bambina quando viene cucita e alla donna quando “le mamme” tagliano la cucitura dopo il matrimonio». Chi effettua questa pratica parte dal presupposto che in tenera età una bambina dovrebbe aver evitato qualsiasi esperienza di sessualità genitale, compresa la masturbazione; non si considera però che, in ogni caso, vivrà un’esplosione ormonale che difficilmente troverà la sua sintesi naturale nell’orgasmo.

Okuarukana Amurata. Il primo audiodoc si intitola così, due termini con cui vengono chiamate le MGF nella cultura Kissi e Maasai, i due gruppi etnici con il più alto tasso di diffusione delle MGF: in Kenya solo due etnie, la Luo e la Luya, non la praticano. Le voci registrate sono di donne che hanno subìto, donne che hanno praticato, donne scampate per caso che ora si battono contro le MGF. Le voci raccontano qualcosa in più di quanto si possa leggere nel rapporto di un’associazione: per esempio, che le MGF sono strettamente legate all’istruzione e che spesso le ragazze non sono poi così bambine, ricordano quindi l’evento e probabilmente anche il piacere. Agnes racconta che le ragazze «appena circoncise vengono fatte sposare», abbandonando gli studi «e così a scuola trovi solo maschi». Poi è la volta della voce di Judith che quando è stata escissa aveva già 16 anni: «io non volevo ma a quel tempo era un dovere e se a scuola le altre ragazze erano circoncise, in fondo volevi lo stesso per te. Poi con alcune ci siamo unite per fermare le Fgm, perché provocano troppo dolore e perché non si torna più a scuola». «Chi non ha “la fortuna” di subirle da piccola» sottolinea Khadidiatou, «ricorda, e questo può avere un impatto sulla persona, difficoltà a relazionarsi con gli altri e insicurezza».

MGF e matrimonio. Le due settimane che precedono l’ingresso nel “bosco sacro”, dove si svolge la MGF, («si effettua soprattutto in contesti rurali, anche dalle città portano le bambine in campagna»), madre e zie preparano psicologicamente le ragazzine: devono sopportare il dolore senza gemere perché in questo modo diventeranno donne e sapranno affrontare le afflizioni dell’esistenza. A quel punto si svolge il Salindè, la cerimonia di festa: la donna ha raggiungo l’apice dell’onorabilità ed è pronta per essere sposata. In Africa il matrimonio è sempre combinato, anche se fosse una scelta necessiterebbe comunque il benestare delle famiglie. La donna ha inoltre un prezzo, che l’uomo paga alla famiglia, compra cioè dei diritti su di lei: su lavoro, sessualità e fecondità. La pratica delle MGF annulla il desiderio femminile, provocando i due effetti voluti dalla società patriarcale: lasciare l’iniziativa dei rapporti sessuali all’uomo e inibire il tradimento che lede l’onore di lui e della famiglia. Ma Khadidiatou ci fa capire che un’indole naturale non può essere frenata così facilmente dall’intervento umano: «non riesci a sentire piacere, ma la donna lo cerca, come è normale, e così quando si sposa diventa una bomba, inizia a cercare ovunque questo piacere». Le MGF sono particolarmente diffuse in Somalia (halalays, “purezza”), Egitto (tahara, “pulire”) e Guinea (kileg, “abluzione”): i termini, diversi per ogni etnia, rivelano che la motivazione culturale prevalente sia la purificazione, portatrice di rispetto. « La bambina non circoncisa resterà preda dei suoi impulsi sessuali come accade agli animali, nessuno la vorrà sposare» scrivono le antropologhe Veronique Petit e Susanne Carillon. E se permane questa convinzione nessuna famiglia avrà mai motivo di cambiare. «È un modo per purificare perché il clitoride è considerato impuro ».

Wanatahiriwa Wapi è il titolo del secondo audiodoc sta per “dove tagliano. Raccoglie voci di uomini che raccontano cosa conoscono di questa pratica: un giardiniere che non sa dove taglino, un antropologo maasai che racconta il culto del dolore nel suo popolo, un guardiano che si pente di aver accettato di sottoporre sua figlia alla pratica. Alcuni dicono «se non supporti le donne, io credo, alla fine anche tu come uomo ne risenti, quindi è una nostra responsabilità», però poi è difficile parlarne perfino in famiglia e questo ce lo conferma anche Khadidiatou: «con gli uomini non si parla di sessualità, nella mia etnia è un tabù e le bambine non hanno educazione sessuale, subiscono senza capire, potendo capire solo da grandi. Gli uomini invece ci tengono, difendono la pratica perché è un modo di essere sicuri della donna, inoltre se non è escissa non viene rispettata, viene trattata malissimo. Quello che non si sa è che le donne vanno a cercare altri uomini e tra quest’ultimi si creano conflitti. Per esempio la mia etnia è molto legata alla Peul, perché parliamo la stessa lingua, in quell’etnia gli uomini si uccidono per le donne, succede anche questo».

Punto di vista genitale. L’approccio degli autori di Audiodoc è stato particolarmente interessante perché era “dal punto di vista genitale”, mettendosi loro stessi allo scoperto con le loro confidenze: Jonathan Zenti con la sua difficoltà di uomo che si approccia a una questione così femminile e Beatrice con la sua intimità che decide di condividere. Nonostante una sia una patologia e l’altra una pratica umana, Beatrice Rappo osserva che «il limite tra l’endometriosi e l’Fgm è molto sottile», e questo l’ha aiutata a capire meglio il problema. Alice, una delle donne intervistate, racconta: «dicono che le donne non circoncise sono brave a letto, sono attive, lo sentono quando fanno sesso. Così, senza il clitoride, io non sento niente. Quindi se vuoi stare con una donna come me devi darti da fare perché io possa sentire qualcosa. Gli uomini Kissi non sono come gli occidentali che sanno tutte quelle cose come accarezzare. Loro arrivano da te e basta» aggiungendo che quello che gli uomini dovrebbero fare invece «è trattare le donne circoncise come persone che hanno un problema e che hanno bisogno di cura e attenzione». Quasi si fossero abituate a un sesso meno fisico e più mentale: «significa che devo cominciare a prepararmi ben prima del sesso, devo prendere un sedativo. Per fortuna io sono sposata con un uomo che capisce le implicazioni della circoncisione». Anche Zahara sente l’escissione come un handicap: «così non mi sento in grado di soddisfare un uomo. C’è chi dice che preferisce fare sesso con donne non circoncise e quindi io mi chiedo: allora le donne circoncise che posto hanno nella società? È solo una questione di riproduzione? Non mi piace, è degradante».

Sister Fa. Tra tutte queste voci durante il Festival la cantante Sister Fa ha raccontato la sua testimonianza, “dal vivo”. Anche lei vittima di escissione, è impegnata dal 2008 con la tournee Education sans excision, per cercare di contrastare la pratica con i testi e la musica, devolvendo inoltre una parte del ricavato dei concerti e dei cd ai lavori sul campo. «L’europeo si pone in modo diverso rispetto a un africano» dice, «io non utilizzo il termine “mutilazione” perché in francese è molto negativo, le mamme non hanno intenzione di “fare del male”». Per lei è sicuramente più semplice portare questo argomento nella comunità, anche se comporta comunque una certa difficoltà di approccio e comunicazione. Questa la sua ricetta: «bisogna lavorare attraverso musica, arte e sport e soprattutto coi giovani perché saranno i prossimi ad avere famiglia»; bisogna raccontare che le MGF non riguardano «solo l’aspetto sessuale, ci sono serie conseguenze sul parto». Infine «bisogna superare la posizione di giudizio e condanna delle società europee come “barbare pratiche africane”», altrimenti non si è in grado di capire e dunque di trovare una soluzione.

MGF e diritto. Rimane il fatto che le MGF vengono effettuate su bambine non consapevoli né di cosa verrà fatto, né del dolore (nella maggior parte dei casi si esegue senza anestesia), né degli effetti: motivi sufficienti per considerarle una violazione dei diritti umani e una delle forme che assume la violenza di genere. Anche se, può sembrare paradossale, si tratta di una violenza perpetrata da donne su donne per difendere una società di tipo patriarcale. Le MGF attuano infatti ben 12 violazioni del diritto internazionale: il diritto a non subire discriminazioni, alla vita e all’integrità fisica, alla salute, a non subire tortura o trattamenti inumani, il diritto dei bambini a forme di protezione particolare; inoltre: il diritto alla salute riproduttiva e alla pianificazione familiare, il diritto di decidere il numero e lo spazio di tempo tra un figlio e l’altro, ad acconsentire al matrimonio, alla privacy, a modificare tradizioni e costumi che violano i diritti umani delle donne, il diritto di vivere libero dalla violenza sessuale e di godere del progresso scientifico. Tuttavia, «la pratica oggi è meno diffusa perché c’è la legge che la vieta e la gente si deve nascondere per farla. Ha paura di essere vista e denunciata dai vicini». Infatti in Senegal e in altri 16 paesi, su 27 censiti, tra cui Egitto e Guinea, è stata adottata una legislazione specifica che vieta le MGF, 6 paesi non hanno leggi ad hoc, ma la pratica può rientrare in altre misure del codice penale,  5 paesi infine non hanno alcuna legge che affronti le MGF: Gambia, Nigeria, Sierra Leone, Somalia e Yemen.

Meglio capire che punire. Appurato il reato, la legge prevede il carcere per i mandanti, che in questo caso sarebbero i genitori. Ma la soluzione penale sembra assolutamente inadatta, sia perché la bambina rimarrebbe sola, sia perché non c’è consapevolezza di dolo: come sottolineava Sister Fa, i genitori sottopongono le figlie a MGF non per far loro del male, bensì proprio il contrario, per preservarle dall’emarginazione della comunità, aumentando le loro probabilità di sposarsi, condizione imprescindibile in quei contesti per la sopravvivenza di una donna, soprattutto se si proviene dalla campagna dove, tra l’altro, il superamento di una prova di dolore ha ancora un valore educativo. L’affrancamento dalle tradizioni deve venire dal basso e anche Khadidiatou sembra essere d’accordo con Sister Fa: «si possono superare, ma senza forza. Con la sensibilizzazione, che non è dire “non devi fare questo altrimenti andrai in prigione”, piuttosto capire le tradizioni e usare metodi che coinvolgano chi le segue: i media, il cinema per esempio, possono essere un’occasione  per farli parlare e partecipare”. Da oltre 30 anni campagne che scoraggiano la pratica, come quelle di Aidos, Audiodoc e «Tostan, Ong che si occupa di questo in Senegal», sono in corso in tutti i paesi africani e i risultati sembrano incoraggianti: «è ragionevole pensare che non esista più alcuna famiglia che decida di sottoporre le proprie figlie alla pratica senza che almeno il dubbio sull’opportunità di questa scelta si insinui in loro».

Ma, oltre al rapporto, ancora più incoraggianti mi sembrano le parole di Zahara: “Tu passi attraverso un percorso per scoprire te stessa e adesso posso dire che io mi conosco. So che se non porto il velo o se indosso qualcosa di corto è sbagliato, ma solo se avessi un modo di vestire che non mi fa sentire a mio agio, lo toglierei. Ora vivo la mia vita, ho smesso di vivere la vita degli altri”.

Alice Rinaldi(11 maggio 2011)