Zakaria Mohamed Ali, 25 anni, è un giornalista somalo, dall’agosto 2008 in Italia, dove ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Attualmente lavora come operatore sociale nel centro di accoglienza di Guidonia e saltuariamente riesce a pubblicare qualche articolo, legato alle condizioni cui sono costretti lui e molti altri connazionali. Recentemente ha anche realizzato in collaborazione con la Onlus Asinitas, un corto di 15’ sul tipo di vita dei ragazzi somali nei pressi della stazione Termini.
La sua attività in Somalia Già a 15 anni Zakaria aveva iniziato a trattare di sport in un settimanale, per poi iscriversi ad una scuola di giornalismo. Ma in un paese da oltre venti anni in guerra civile non è possibile praticare liberamente questo mestiere, molti sono stati i professionisti uccisi, tra cui nell’agosto 2007 il suo maestro, Mahad Ahmed Elmi. Subito dopo il funerale una bomba ha fatto saltare l’auto del collega Sharmarke. Zakaria ha capito che doveva scappare. I suoi ultimi servizi radiofonici lo avrebbero inchiodato senza speranza. Minacce di morte subite in prima persona lo hanno convinto a lasciare Mogadiscio, nel dicembre dello stesso anno. “Non sono orgoglioso della fuga ma non c’erano altre vie d’uscita”. Dopo un paio di settimane ad Addis Abeba, su consiglio dello zio si è mosso verso il Sudan. Nemmeno l’Etiopia è un posto sicuro per i giornalisti. È stato solo a Khartoum che ha pensato di attraversare il deserto per approdare in Europa, fino a quel momento non aveva considerato questa opzione.
Dal deserto all’Italia Insieme ad una cinquantina di persone tra somali, etiopi ed eritrei, Zakaria ha attraversato il Sahara per 12 giorni, fino all’arrivo in Libia. “Nel viaggio si incontra molta gente che fugge, cercando di arrivare via mare in Italia”. La sua prima traversata del Mediterraneo è fallita, un guasto al gommone lo ha costretto con altri cinquantasette a stare tre giorni in mare, finchè una nave tunisina li ha portati sulle proprie coste. “In Tunisia è stato peggio che in Libia, anche donne e bambini sono stati picchiati. Poi siamo stati lasciati al confine con la Libia, che abbiamo attraversato a piedi”. Il secondo tentativo è andato a buon fine: “stavolta eravamo su una barca di legno ed eravamo ‘solo’ in 43”. Il 13 agosto 2008 l’arrivo a Lampedusa, dove Zakaria e i suoi compagni sono stati ben accolti. La Somalia è stata nei primi del Novecento una colonia italiana e si riserva una certa attenzione ai profughi di questo paese. Tutto il percorso è stato annotato in dei quaderni, oltre ad essere un’importante documentazione, un’opportunità per “non pensare”.
In Italia Il suo caso è stato uno dei più facili da esaminare per la Commissione che valuta l’attribuzione dello status di rifugiato: “sono stato sentito solo per 45 minuti, tramite google è stato facile verificare la mia storia. Altri sono stati ascoltati per ore”. Il riconoscimento è arrivato dopo poche settimane, altri hanno dovuto aspettare fino a 8 mesi. Giunti a Roma da Lampedusa c’è la possibilità di andare in qualsiasi città italiana. Non avendo agganci, Zakaria ha deciso di rimanere. Tramite il centro di accoglienza Enea, dove ha vissuto per due anni, già dal settembre 2008 ha iniziato a frequentare una scuola di italiano, tre volte al giorno: “imparare la lingua è la chiave del mio futuro, solo così potrò esercitare la professione di giornalista”.
Comparazione con il nord Europa La legislazione italiana garantisce tramite i centri di accoglienza vitto e alloggio, ma è ancora arretrata rispetto a Germania e Scandinavia, dove si ottengono asilo, residenza privata e maggiori servizi per l’ingresso nel mondo del lavoro. Ecco perché il rapporto dei rifugiati con la popolazioni è di circa 1 ogni 1000 nei paesi mediterranei contro 7 su 1000 del nord Europa. “L’Italia deve crescere da questo punto di vista, ci sono la Caritas e alcune associazioni che fanno un gran lavoro, ma non basta. E i media non raccontano questa realtà. Non si riesce nemmeno ad indirizzare il percorso lavorativo a seconda delle competenze, ho intervistato somali in Svezia e Norvegia, hanno ricevuto anche assistenza monetaria. Qui ti mandano a fare attività pesanti dove nemmeno si riesce ad imparare la lingua, dalle altre parti te la insegnano in corsi di 4 ore al giorno.” A Zakaria è andata meglio, ha da poco ottenuto grazie ai tutor un contratto come operatore sociale, fino a poco più di un mese fa ha lavorato come istruttore informatico nel centro di Pietralata, riuscendo anche ad affittare con altri connazionali una casa. Ma lui è l’eccezione. Per molti altri è difficile uscire dai centri di accoglienza.
Rapporti con la Somalia Avvenuto il ricongiungimento familiare, tutti i suoi amici e conoscenti sono rimasti in Somalia. I contatti sono costanti, ogni giorno tramite telefono o skype riesce a sentire i colleghi giornalisti per confrontarsi sulla situazione del suo paese e sulla realtà che vede per i connazionali all’estero. Il sogno è quello di tornare: “vivo nel passato, con i ricordi con cui sono nato e cresciuto, non ho perso la speranza, ogni cosa ha una fine, quindi anche i problemi della mia nazione”.
La comunità somala in Italia non è forte sul territorio, ci sono alcune associazioni ma non viene fatto molto a livello organizzativo. Diversa la situazione nei paesi scandinavi, con eventi, incontri culturali, anche con ospiti di rilievo stranieri. “Qua in Italia il problema principale per noi è trovare un lavoro e una casa, l’aggregazione finisce in secondo piano”. Per la festa nazionale del 1 luglio ci saranno comunque delle celebrazioni presso il consolato in via dei Gracchi.
Gabriele Santoro e M. Daniela Basile(29 giugno 2011)