Avvicinando Capoverde

 

L'autrice, Lucia Galliani

Giallo a Capoverde. Il 23 giugno in prima serata al Café Cretcheu, disco pub gestito da e dedicato alla comunità capoverdiana, si è svolta la presentazione di un libro scritto dalla modenese Lucia Galliani. “Giallo a Capoverde”, il titolo, anche se l’aspetto investigativo, sviluppato con intelligenza, non è l’unico fulcro del racconto. In parte è una scusa o semplicemente il genere prescelto  per permettere all’autrice italiana di mettere a frutto osservazioni e vissuto dei suoi ultimi 5 anni, parzialmente trascorsi nell’arcipelago ad ovest dell’Africa, nell’isola di Sal.
Il libro al momento è venduto solo a Capoverde: è la prima pubblicazione della Galliani,  ma non il primo libro. Ne ha già scritti due. Ciao Maria e Cuore bambino, il secondo è per ragazzi.
Due esperimenti tuttora in cerca di editore.

Viaggiare in un “salotto”. Nel clima informale ed amichevole del pub, dove buona parte dei presenti già si conoscono, la presentazione è un confronto caldo tra i convitati di un salotto, fatto di capoverdiani e varie coppie miste con italiani: la nostra presenza nell’arcipelago è forte e consolidata, così come lo è da decenni quella loro presso di noi. Molti parlano un italiano colto e senza inflessioni.
Dopo che Maria Silva, funzionaria all’ambasciata capoverdiana presenta storia e peculiarità della scrittrice e questa commenta e spiega varie parti del libro, si solleva notevole interesse e dibattito nel pubblico. Per un giallo? No, o quantomeno non solo: in filigrana e in alcune pagine scopertamente, lo sguardo garbato, attento, non coloniale, della scrittrice si inserisce tra bar, bancarelle, locali, diving club, mercati del pesce, battigie realmente esistenti e dettagliatamente descritte. Tra questi luoghi vivono spontanei personaggi del libro e le relazioni che ne scaturiscono portano iscritte addosso autentiche dinamiche interne all’arcipelago. Socioeconomiche, culturali, di costume.

Con il cellulare e senza scarpe nelle isole (che erano) senza tempo. Alcune pagine tratteggiano esplicitamente forme di colonialismo economico ed alcuni effetti. Stereotipi occidentali accolti in modo stridente: abitanti con il cellulare ma senza scarpe e neanche una bicicletta per muoversi. Così, si accorge il personaggio italiano di Renzo che lungo la storia diverrà investigatore di un omicidio, la cordialità dei capoverdiani verso il turista non è per forza spontanea: lo straniero porta soldi ma produce, con atteggiamento leggero, eradicazione culturale.
Suggerisce Galliani, queste isole di sole, che quasi possono dimenticare lo scorrere del tempo, perché fatte di sola estate non conoscono la caducità delle singole stagioni, sono còlte impreparate dai mutamenti repentini.
Anicete, il corriere che fa la spola dall’aereoporto agli alberghi per i turisti dice a Renzo: “Tutti nasciamo più o meno ignoranti, ma il vero ignorante è quello che non vuole imparare. Molti dei giovani capoverdiani si adeguano a questa inconsistente volontà di imparare, di crescere; sono forti e belli fisicamente e si gratificano della loro provvisoria prestanza, ma sono deboli moralmente e presto crollano nel narcisismo, sconfinando spesso nell’alcool […] per non parlare della droga”

Giochi di ruolo. Il contesto delle isole e i diversi modi di abitarle e fruirne è reso anche dal gioco dei ruoli dei personaggi, pensati con dei caratteri che sono, di fatto, diversi approcci a Capoverde sia da parte dello straniero che dell’autoctono. E lo sviluppo narrativo di questi caratteri indica anche come alcuni di questi si aprano a recepire gli influssi più rigeneranti e genuini dell’arcipelago, mentre altri cavalchino volontariamente o meno quelli meno costruttivi. Così Renzo – che l’autrice dice ispirato a suo marito, riflessivo e analitico – è la saggezza e specie nel finale accosta se non sostituisce la voce del narratore. Laura, studentessa universitaria, assorbe la bellezza di Capoverde e la ridona in amore a qualcuno che invece stava perdendo la propria strada. E così via caratterizzando altre tipologie.

Tra poesia e ragione. L’éscamotage narrativo del giallo è la Santa Luzia, un verosimile relitto portoghese affondato con i suoi tesori nei pressi di Sal nel 1600 e di cui qualcuno dei personaggi si metterà, ansiosamente, alla ricerca. Ma Galliani non vuol far sognare ad occhi aperti attraverso il filtro dell’avventura. E’ una strizzata d’occhio, una piccola richiesta  di complicità narrativa, godibile anche ad un lettore esigente.
L’avventura sullo sfondo o l’amore che in alcune pagine sboccia non diventano banalità: personaggi e luoghi danno vita ad azioni che pur frutto di fantasia reggono in quanto a realismo per cura dei dettagli. In alcune pagine con una resa quasi filmica. L’uso della metafora per rendere i “climi” fugge lo stereotipo: è esperto e sa rinnovarsi nelle pagine.
Il ritmo serrato, analitico, che poi l’investigazione fornisce alla parte finale del libro mostra un’autrice che pur sapendo in itinere aprire finestre e spaccati sul mondo delle emozioni e dei sentimenti, attraverso Renzo, un po’ Poirot e un po’ Sherlock, fa tornare razionalmente i nodi al pettine. Dettagli e briciole di Pollicino, che un lettore invaghito dei singoli “quadretti” potrebbe aver snobbato o perso per strada, vengono uno a uno ripresentati in una struttura che si regge sulla logica. Con poesia, però

Marco Corazziari
(30 giugno 2011)