Ultimo giorno di lezione per le classi di italiano per stranieri della Federazione chiese evangeliche. I corsi di lingua intensivi organizzati dalla scuola sono proseguiti dal 27 giugno e si sarebbero dovuti concludere venerdì 22 luglio, ma la chiusura è stata anticipata per il proclamato sciopero del trasporto urbano di venerdì.
L’atmosfera è rilassata e la classe, normalmente composta di 40 iscritti, è animata da circa quindici persone più i figli piccoli di due allieve, che partecipano alla lezione a modo loro.
Attestazioni. All’inizio della lezione Maria Rita, l’insegnante di italiano L2 per stranieri, spiega loro tempi e luoghi per il ritiro dell’attestato di frequenza. “I corsi che teniamo qui – spiega – sono di base e di alfabetizzazione, quindi non ci sono ancora i presupposti per certificare l’apprendimento della lingua secondo i parametri della commmissione europea. L’attestato però è un qualcosa in più per la ricerca del lavoro”.
Composizione. Nelle altre classi ci sono russi ed iraniani, in questa tunisini, nigeriani, filippini, un somalo, una brasiliana che lavora come segretaria all’ambasciata, un ungherese ed un romeno. “In un solo mese di corso molti di loro, pur non conoscendo l’italiano – spiegano l’insegnante e Carmen, una tirocinante – o nessun’altra lingua europea, hanno cominciato ad aprirsi, ad interagire tra di loro per comunicare”.
Il metodo. La prima fase delle lezioni si concentra sul ripasso delle lezioni passate sugli elementi base della lingua: articoli, verbi, voci verbali degli ausiliari, aggettivi, concordanze di genere e numero. Il resto dell’apprendimento è frutto di un continuo stimolo alla partecipazione tramite giochi a tempo, esercizi da fare in gruppo o singolarmente, immersi in un’atmosfera informale. C’è un po’ di timidezza nello scrivere alla lavagna, ma molto aiuta sdrammatizzare, scherzare sui giochi di parole, fare autoironia. Le prime file, formate da un’asse vivace di filippini (Danilo e Ruben), un ungherese (Karol), un romeno (Gabriel) ed una Nigeriana (Onanin) alzano spesso la mano per rispondere, danno suggerimenti, si lanciano, consapevoli che su ogni sbaglio si crea l’occasione per fare una battuta. Uno dei giochi vuole che gli allievi interpretino un breve copione davanti alla classe per poi rispondere a dei quesiti vero-falso sul dialogo. Prima del questionario ci si dedica a chiarire il significato delle parole nuove che si sono incontrate nel testo, si fanno esempi pratici e si familiarizza con la loro pronuncia.
L’ambiente. Anche le età sono variegate: si va dai 44 anni di Ruben, ai 38 di Karol, fino ai venti di Aminata, di professione parrucchiera. “L’atmosfera che si respira qui – spiega un’insegnante volontaria – è anche frutto della presenza di molte persone provenienti dal ricongiungimento familiare. In precedenza io e mio marito abbiamo insegnato italiano al centro rifugiati Astalli, e lì per ovvie ragioni l’atmosfera era molto diversa”. La frequenza è ovviamente discontinua, dato che chi trova lavoro spesso lascia i corsi, ma le lezioni forniscono un primo approccio alla conoscenza della lingua. In passato la scuola ha assistito studenti arrivati in Italia da pochi giorni.
Lingue ponte. Ogni tanto il francese o l’inglese funzionano come lingua di tramite tra un significato dello straniero ed il corrispondente italiano. “Però è meglio evitare queste associazioni – dice Maria Rita – nel primo approccio all’italiano potrebbero solo crear loro confusione. In realtà il metodo da seguire si forma in itinere ed è da cucire su misura per ognuno di loro”.
Alla fine della lezione, l’ultima del corso, c’è spazio per farsi qualche foto, salutarsi e scambiarsi facebook per coltivare i rapporti che qui sono nati. “Sono Ismael, ho ventiquattro anni e voglio imparare l’italiano” dice un tunisino in uno dei giochi di gruppo, quando è chiamato a parlare.
Davide Bonaffini21 Luglio 2011