Come due stelle nel mare di Carlotta Mismetti Capua non è solo un libro. Anzitutto è una storia vera, di quelle che hanno la bellezza della casualità e la profondità dell’ostinazione, poi è un gruppo su facebook, è la community che si è creata intorno, infine è il libro che contiene pezzi di vita, di pensieri, di status da social network.
Ogni capitolo inizia con un titolo e un piccolo aforisma digitale che funge da sottotitolo o citazione. Il libro inizia così: “Oggi ho incontrato quattro ragazzini afgani sull’autobus, scendevano alla mia stessa fermata: Piramide. Hanno camminato sei mesi per arrivare a Roma”. L’anima del libro sta infatti dentro internet, ma ha un altro nome, La città di Asterix *, che è ciò che dice Akmed – protagonista della storia, “5000 km a piedi a 16 anni” – appena riconosce Roma: dalle montagne dell’Afghanistan l’aveva vista attraverso i fumetti di Goscinny e Uderzo, e grazie a questi lui sa dove si trova, meglio di qualsiasi mappa.
Questo libro multimediale parla del pregiudizio, che è fatto in due parti: la prima parte aiuta il nostro orientamento nel mondo, la seconda cerca di ucciderlo, impedendoci, letteralmente, di muoverci. Riuscendo a bilanciare le due parti si accetta la sfida – divertente – di non fare come al solito. La storia e tutto il resto non sarebbero mai nati se non ci fosse stata una curiosità iniziale: “ciao, da dove venite? Come vi chiamate? … le domande semplici che si fanno quando le persone le guardi negli occhi”, oltre l’”ah, sti rumeni” – perché ormai sono tutti rumeni, come prima erano tutti albanesi e domani saranno tutti egiziani… perché sono due anni che alla tv dicono: allarme, orda, son rumeni. E invece sono afgani con le felpe di cotone” in inverno, “ragazzini… ed è esattamente così che cose enormi come la guerra diventano normali, e tutto diventa banale, così banale che non vediamo più nulla. E se diciamo ciao da dove venite? allora siamo pazzi. Allora tutti zitti, per non sembrare pazzi, tutti fermi.”
Ma Carlotta ferma non ci sta per niente, decide di fare qualcosa. Dà un appuntamento ai ragazzi all’indomani, ma trova solo Akmed e per cercare di interagire con lui in modo umano – oltre la burocrazia delle associazioni, dei commissariati, dei Centri Territoriali Permanenti, dei dormitori, perfino di un ospizio nella Marsica – diventerà “cittadina”, “giornalista”, “benefattrice”… ma nessuna odiosa definizione sembra poter agevolare una comunicazione tra i due. Akmed, con tutti i suoi diritti da rifugiato, viene trasportato come un pacco a cui nessuno parla, tranne Carlotta attraverso un cellulare comprato al volo alla stazione Termini.
Carlotta si interroga su questo incontro con Akmed, mentre ci racconta un po’ di cose: della guerra che “è fatta così: è cieca, ma ci vede” perché “i bambini sono le prime vittime dei conflitti armati, soprattutto nelle guerre moderne”; dell’Afghanistan – “un pugno col pollice in alto” che sfiora la Cina – dove “le ragazze mica passano per strada, a parte che sono coperte, ma è vietato proprio” e dove “più di 130mila afgani sotto i 18 anni sono stati uccisi dalle mine antiuomo: circa 10 milioni di mine sono ancora dentro la terra, nascoste come semi. Il 60% dei bambini non ha più un genitore o, come nel caso di Akmed, li ha persi tutti e due”; ci racconta delle notizie arrivate e subito fuggite: “Uno. Maroni lancia l’allarme: in Italia traffico d’organi di minori. Nel 2008 su 1320 minori approdati a Lampedusa, circa 400 sono spariti”. Alché viene da chiedersi… e i 1300 del 2011, dove sono? E come stanno? “Due. Proteste contro l’arrivo di operai italiani nelle raffinerie della Gran Bretagna”, l’altra faccia della medaglia che ci si scorda sempre, e “Tre. Undicenne afgano trovato morto mercoledì sera a Mestre”. Carlotta ci esorta a “unire i puntini” come nella Settimana Enigmistica, e devo dire che il disegno che mi sono fatta in testa io non è proprio un ombrellone con il sole e la sdraio. Ci racconta anche cose di Roma che non sappiamo: la vita quotidiana di chi è appena sfuggito da una guerra e non ha lingua e permesso di soggiorno e quindi non può avere neanche lavoro, soldi e una casa – “cosa fate tutto il giorno?”, “niente, andiamo in giro”. “In giro. Senza amici, senza un euro per prendere la metro, senza una mappa. Tutto il giorno, per legge: dalle 8.30 alle 18.30. Anche se piove o tira vento”. Proprio “’sti rumeni” che stanno buttati nei parchi tutto il giorno senza fare niente.
Questa è la realtà, ma per fortuna anche Carlotta ride tutte le volte che si scontra con la burocrazia italiana, talmente inflessibile che diventa paradossale: “per emergenze e casi umani lasciate un messaggio”. In ogni caso involuta: “nel 212 d.C. Caracalla estese la cittadinanza a tutti gli abitanti dei territori conquistati, oggi 8 bambini nascono qui, da genitori stranieri, ogni ora. Figli a cui la legge offre un percorso meno giusto che ai tempi di Caracalla, e in ogni caso lentissimo. Dopo i 18 anni possono fare richiesta di cittadinanza, la pratica può durare altri 10”.
A un certo punto del libro Carlotta cita una frase che la stava facendo rimanere “secca”: “Nella battaglia tra te e il mondo, lascia che vinca il mondo”. Era l’aforisma numero 52 di Kafka, sicuramente non famoso per il suo ottimismo, ma ha un senso e lei vorrebbe parlarne con lui per capire perché si sente così incapace di dargliela vinta. Ogni sua parola rivela questa “battaglia”: “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te, diceva Gesù e io credo intendesse tutto: quello che fai, il modo in cui lo fai, il motivo per cui lo fai”. Io potrei aggiungere Stuart Mill: “L’umanità ottiene maggiori vantaggi tollerando che ciascuno viva come gli sembra meglio, anziché obbligandolo a vivere come sembra meglio agli altri”. Darsi l’occasione di vedere la straordinarietà della semplicità di certe menti umane – quando un letto e una coperta, un “it’s a palace” e “not a camp”, già cambia tutto negli occhi di qualcuno -, quelle menti che ti fanno “vedere un sacco di cose, perfino casa mia; che uno pensa di conoscerla bene, la propria casa” o che riescono a spiegartele con due parole: Akmed “mi ha detto che sull’autobus c’era una signora che lo guardava come se lo conosceva. Ed è tutto qui.”
Per il resto penso sia impossibile vincere il mondo, ma l’importanza di “incazzarsi come una bestia” per tutto ciò che non va non è da sottovalutare. Credo che troveremmo molte più stelle nel mare.
Alice Rinaldi(9 agosto 2011)
* “L’anima del libro” è sparita da facebook senza apparente motivo. Per chi vuole seguirne la vicenda, dal 3 agosto sulla pagina del gruppo si legge solo questo post di Carlotta: “La città di Asterix” è sparita da Facebook. Inabbissata tra i pixel, forse bombardata. Si attendono notizie dai ragazzi di Facebook. Nel caso la ricostruiremo. Andiamo avanti”.