Venezia a Roma Nell’ambito della rassegna che sta portando in questi giorni nelle sale della capitale alcuni tra i film più interessanti passati alla Mostra del Cinema appena conclusasi, è stato proiettato ieri la pellicola palestinese Habibi, opera prima della giovane regista newyorkese di origini mediorientali Susan Youssef.Il film Girato tutto all’ interno dei Territori e finanziato con mezzi di fortuna come donazioni e premi, il lungometraggio racconta la storia d’ amore tra il poeta Qays e Layla, una studentessa palestinese. I due giovani universitari sono costretti ad abbandonare gli studi dopo l’assedio della striscia di Gaza da parte delle forze israeliane nel 2001. Li aspetta però un ritorno a casa traumatico, il loro rapporto al pari delle loro ambizioni viene fortemente condizionato dalle difficili dinamiche che regolano la realtà che li circonda. La famiglia di Layla, intenzionata a darla in sposa a un giovane medico di ritorno dagli Stati Uniti, non approva la relazione con Qays che vive nei campi profughi e non può garantirle un futuro dignitoso. Il ragazzo vistosi prepotentemente ostacolato e ripudiato “impugna” l’unica arma a sua disposizione: la poesia. Tinge di rosso il grigio dei muri di Gaza con canti d’ amore tratti dal poema classico arabo Majnun Layla, la cui protagonista porta lo stesso nome della ragazza amata.Il senso Particolarmente apprezzabile lo sforzo della regista di sancire, anche attraverso il parallelismo con la letteratura classica, la potenza della parola e della scrittura di fronte alle atrocità della guerra. Ma il tentativo di fronteggiare la violenza con la poesia resta del tutto velleitario, nella comunità palestinese si scatena lo scandalo per il protrarsi del legame proibito. Ai due amanti non resta che nutrire la comune ma precaria speranza di una fuga in Olanda.La narrazione, ben veicolata sullo schermo dalla regia della Youssef, rimane costantemente ferma sui due innamorati e sul loro silenzioso stare insieme, lasciando gli scontri sullo sfondo. Questa la cifra distintiva della pellicola, che non ha l’ intento di documentare l’ assedio, quanto piuttosto di indagarne gli effetti dirompenti sulla dimensione individuale dei rapporti umani nonché sull’aspetto sociale come terreno fertile per lasciare attecchire il fondamentalismo.
Irene Ricciardelli(13 Settembre 2011)