Il primo festival della cultura bengalese a Roma

Un cantore mistico baul

Rony Akther, presidente dell’Istituto di Cultura Bengalese (BCII) di Roma, è impegnato nell’organizzazione del festival internazionale della cultura bengalese: primo a Roma, in Italia e in Europa. Il festival si svolgerà dal 14 al 16 ottobre e sarà dedicato in particolar modo alla figura del filosofo bengalese Lalon Shah (1774-1890). Il programma molto ricco avrà luogo in piazza Perestrello (Torpignattara), municipio 6. venerdì 14, primo giorno del festival, si svolgerà un seminario su Lalon: arriveranno docenti dal Bangladesh, dall’Europa e da La Sapienza. Saranno presenti diplomatici e 50 associazioni italiane. Poi musica, canti, danze, esposizioni, concorsi e cinema bengalese, per l’occasione, sottotitolato in italiano.

Lalon fu uno dei principali cantori mistici del continente indiano e la voce più radicale durante il dominio coloniale britannico. Ha celebrato con le sue liriche la libertà del corpo, dell’anima e della lingua da tutte le forze che reprimono e dividono gli uomini. Rappresenta la secolare comunità Baul alla quale apparteneva: cantori poveri, illetterati, erranti, la cui saggezza non traeva origine da un addestramento accademico, ma dal contatto costante con una vita intensamente vissuta. “Lalon 118 anni fa diceva che la casta non esiste – commenta Akther – perché siamo anzitutto umani. A lui si ispirarono i filosofi indiani Rabindranath Tagore e Mahatma Gandhi”. Forse lo conosceva anche Vittorio Arrigoni.

La parola baul significa letteralmente “pazzi”. In hindi si chiamano bardaï, parola che ha la stessa origine di “bardo”, “vate”. I baul sono degli indù eterodossi – seguono opinioni discordanti da quelle comunemente accettate, specialmente in fatto di religione e politica – e ignorano riti di ogni sorta. Il loro credo è un sincretismo indo-musulmano, e incorpora alcuni aspetti del sufismo, del buddismo, delle pratiche yoga e del tantrismo. Rifiutano la separazione tra la comunità musulmana e quella indù e anche la differenza tra uomini e donne. Inoltre, venerano soltanto la divinità che ognuno ha dentro di sé: per loro il tempio indù o la moschea musulmana sono solo degli ostacoli sulla rotta di Dio. Abitualmente indossano una kurta (camicia) arancione e un lungi o dhoti bianco (tessuto annodato che somiglia a una gonna). Nel 2005 le canzoni baul sono state proclamate opere d’arte appartenenti al Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità. La musica baul è folcloristica nella sua strumentazione e nelle sue composizioni, ma è soprattutto una musica dell’ebbrezza ispirata dalle parole e da un’interpretazione lancinante. Spesso i baul si costruiscono da soli i loro strumenti. Di solito le canzoni sono eseguite da un solista, poi accompagnato da altri musicisti e infine dal pubblico nei ritornelli. Strumenti musicali tradizionali baul sono il khamak, il khol, l’ektara, la manjira o kartal e l’harmonium.

Alice Rinaldi (10 ottobre 2011)

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