“Multikulti” alla tedesca

Presentato al Goethe-Institut Deutschlandistan, vizi e virtù dell’integrazione tedesca, di Pietro Suber e Francesco Tosto, un documentario inserito all’interno del progetto biennale “Va bene”.Tre settimane di lavorazione e cinquanta minuti totali di durata per raccontare il quartiere di Neukölln di Berlino che offre uno spaccato del processo di integrazione tra culture in Germania.Deutschlandistan intreccia dieci storie di immigrazione nel tessuto sociale tedesco, raccontando “un quadro diffuso” dell’incontro tra culture senza la pretesa di dare una soluzione al problema, afferma Suber al termine della proiezione.Lo scenario di Neukölln è stato un laboratorio perfetto per indagare sul modello di integrazione tedesco, dato che sono 139 le differenti comunità straniere che qui risiedono, tramutandolo in sede elettiva della mescolanza sociale che, troppo spesso, si paralizza in ghetti etnici.Si parte dalle storie delle odissee burocratiche di una ragazza libica e della sua famiglia, da molti anni vissuta in Germania, che si è trovata a dover rimpatriare senza motivo e senza possibilità di opporsi. Anche a lei, che parla un tedesco perfetto ed ha concluso il ciclo di studi in Germania, ottenere un visto è un’impresa, e vivere senza gravare sull’assistenza dello stato – la più contestata da chi sostiene che gli immigrati siano un peso per la società – le richiede la frequenza obbligatoria ad uno stage che, per legge, non è retribuito. Ottenere un visto o, come dice lei scherzando con i fratelli, fare un “Kartoffelen party” – visto che i tedeschi mangiano molte patate – è una strada spesso contraddittoria, anche quando l’integrazione esiste.Un cortocircuito legislativo simile, e per certi versi emblematico, lo racconta un ragazzo di origine libanese, la cui famiglia è fuggita in Germania a causa della guerra. Ottenuto un visto dal padre per lavorare nel paese, recentemente lo stato li ha considerati immigrati irregolari, confondendoli per turchi a causa di alcune parentele. Ad aggravare la situazione, e renderla più paradossale, basti pensare che al ragazzo è stato consigliato di prendere un passaporto turco per trovare più facilmente lavoro, e nel quale sono riportati un differente cognome ed una data di nascita che differisce da quella reale di circa un anno. Per ottenere la cittadinanza gli è stato detto che deve conseguire la maturità, ma allo stesso tempo provvedere a mantenersi.Neukölln, un quartiere dove la metà della popolazione ha origini straniere, possiede un tasso di criminalità del 40% superiore al resto del paese. A cadere nella rete dell’illegalità sono spesso i minori, strumentalizzati nel racket della droga per la loro condizione che espone un vuoto legislativo: troppo piccoli per essere rimpatriati, troppo difficile condannarli a restare in un riformatorio dal quale dopo poco riescono a scappare.Il giudice minorile Kirsten Heisig, autrice del libro “La fine della pazienza” fortemente critico verso la politica morbida ed assistenzialista del governo tedesco, ha fondato il cosiddetto modello Neukölln che abbrevia di moltissimo i tempi dalla contestazione di un reato alla condanna. Qui il multikulti – neologismo tedesco per definire una società multiculturale – vive le sue fasi più complesse dopo esser stato sconfessato da più parti da vari esponenti della politica, compresa la stessa Merkel.Non mancano però esempi di coraggio e determinazione. A partire dal Football under cover, un mix di calciatrici tedesche ed iraniane che, unite dalla passione per il pallone, sono riuscite a mettere insieme una squadra ed ottenere un match con la squadra femminile iraniana nello stesso Iran, con una partita che, evento eccezionale, si è disputata all’aperto e con un pubblico esclusivamente femminile, benché tutte le giocatrici fossero coperte dal velo.Uno psicologo turco in Germania da 36 anni assiste le famiglie di immigrati – prevalentemente islamici – su temi come il matrimonio forzato, l’omicidio d’onore e le usanze in aperto contrasto con la legislazione locale. A suo parere, aprire al dialogo su questa tipologia di temi ha portato molti uomini a cambiare idea in merito, segno che l’integrazione è un obiettivo non immediato ma raggiungibile se si intende perseguirlo. “Il multiculturalismo – spiega nel documentario – è come una macchina. Se è abbandonato a se stesso arrugginisce”.

Davide Bonaffini29 Ottobre 2011