I romeni sono persone che ti parlano guardandoti negli occhi, che trasmettono una fierezza e una forza straordinarie. Nessuna ostentazione, tanto l’impegno per un futuro migliore. Sono così mentre festeggiano la ricorrenza dell’unificazione della Romania nella chiesa Sacro Cuore Immacolato di Maria a piazza Euclide domenica 4 dicembre.
La festa. “Il primo dicembre 1918 è stata proclamata l’unità della Romania – Spiega Padre Serafim Vescan – Quest’anno si festeggiano anche i 150 anni dell’unità d’Italia. Un punto di contatto tra due paesi che condividono le tradizioni latine. Il cammino è stato lungo e non è stato facile. Viva la grande Romania unita!”. Per i cittadini romeni che frequentano la chiesa Sacro Cuore Immacolato di Maria i festeggiamenti iniziano alle 10 del mattino e si protraggono fino al pomeriggio. Alla messa, celebrata secondo il rito orientale, seguono il concerto di canti natalizi del Coro del Pontificio Collegio Pio Romeno, gli spettacoli ispirati alla tradizione natalizia ed al folklore tradizionale ed il pranzo comunitario ospitato nelle due sale della chiesa. Un momento di condivisione che ha visto la partecipazione dell’Ambasciatore di Romania presso la Santa Sede, Sua Eccellenza Bogdan Tătaru-Cazaban.
Storie di vite divise. Irina ha 47 anni e da 10 vive in Italia, lavora come colf. Suo figlio invece è rimasto in Romania: “Per 12 anni ho lavorato in una fabbrica di tessuti. Poi, dopo Ceaușescu, molte industrie hanno chiuso ed io, come tanti, mi sono ritrovata senza un lavoro fisso”. Per 2 anni l’impiego in una sartoria, poi in una tipografia: “Alla fine ho detto ‘Voglio una stabilità’ e sono venuta qui”. Anche Nicola, 53 anni, è colf e anche lui, come Irina, ha cambiato più volte lavoro: “In Romania ho fatto l’autista professionista ed il maitre d’hotel”. Un anno fa la decisione di venire in Italia: “Ho trovato questo lavoro tramite conoscenze di mia moglie, che lavorava qui. Ora lei è tornata in Romania. Ci vedremo questo Natale”. Per Helena invece questa è la seconda esperienza nel nostro paese: “Sono stata qui la prima volta per 9 anni, lavoravo come badante, poi sono tornata in Romania per finire gli studi universitari”. Ora Helena ha una laurea in Sociologia ed è in cerca di un impiego: “Mio marito è in Romania. Siamo sposati da 19 anni. Lui è ingegnere edile, ha un lavoro migliore. Io invece guadagnerei lo stipendio minimo, 150 euro”. Nita, 49 anni, da 8 in Italia, in Romania ha lasciato la moglie e i figli: “Li ho rivisti per la prima volta dopo 3 anni. Poi piano piano un anno, un anno e mezzo. Non puoi andare sempre, perché se per una settimana non lavori non paghi l’affitto”. Sorin e Mihaela, 35 e 40 anni, si sono trasferiti in Italia nel 1998. La loro bimba però è cresciuta in Romania: “Qui non si è trovata bene, quindi abbiamo deciso di lasciarla alle nonne. La vediamo 4 volte l’anno, per fortuna tramite Internet possiamo parlarle spesso, ora vorremmo portarla in Italia”.
Scelte obbligate. Daniel Pisuc è arrivato in Italia 18 anni fa per specializzarsi negli studi teologici e oggi è insegnante. Il suo è stato un percorso di crescita spirituale e personale, ma per tanti romeni l’emigrazione è l’unica possibilità: “Molta gente preferirebbe restare nel proprio paese, anche se lo stipendio medio è di 150, 200 euro”. Il vero problema, spiega, è che la metà della popolazione non ha un lavoro: “Sono gli effetti del recente passaggio da un regime comunista ad un sistema capitalistico che crea difficoltà in Romania come negli altri paesi dell’Est”. Un sistema che, secondo alcuni, non ha saputo affermarsi come alternativa valida: “Quando c’era Ceauşescu non c’era democrazia, ma tutti avevano un lavoro, una casa – racconta Mihaela – riuscivi a mettere qualcosa da parte, poco, ma ci riuscivi. E chi non lavorava andava in prigione”. “Non c’era la differenza che c’è ora tra i pochi ricchi e i tanti poverissimi” conclude Sorin.
“L’opportunità era per alcuni, aperte le frontiere, di rifarsi una vita” continua Daniel “Accettando condizioni di lavoro e stipendi spesso inferiori a quelli degli italiani nella speranza di dare un futuro migliore ai propri figli”. L’Italia, insieme a Francia e Spagna, è tra le mete favorite: “Perché si tratta di paesi di lingua neolatina, come la Romania. Quindi è più facile integrarsi che in altri”. Anche la presenza nel paese di accoglienza di parenti o amici rappresenta un punto di riferimento importante, come spiega Irina: “Qui c’erano le mie sorelle, i miei nipoti quindi avevo un appoggio”.
Qualche soddisfazione, tanta incertezza, nessun rimpianto. Gli occhi di Nita si illuminano quando parla della figlia: “Le ho sempre detto che doveva darsi da fare, perché io come genitore potevo sostenerla solo economicamente”. E oggi la figlia di Nita ha finito gli studi e vive a Londra, dove lavora come assistente sociale. Anche i sacrifici di Sorin e Mihaela hanno dato dei frutti: “Siamo riusciti a costruirci una casa tutta nostra in Romania”. Il sogno, non solo per loro, è tornare nel proprio paese: “Quando però non si sa. Questo non è un momento facile”. “Adesso è un macello con il governo, i partiti, come qua da voi” spiega Helena: “Non so questi piccoli che vita faranno alla nostra età, cosa gli riserva il futuro. Mi viene da piangere quando ci penso”.
Nessuna lamentela però, neanche quando gli chiedo se sono soddisfatti del lavoro che fanno: “Non sognavo niente di tutto questo – afferma Irina – d’altro canto noi quando veniamo in Italia sappiamo cosa possiamo fare, non è che aspiriamo ad altro. E comunque sono stata bene”. Nicola è soddisfatto perché i suoi datori di lavoro sono contenti di lui: “E non mi manca niente del mio paese perché quello che trovi in Romania c’è anche qui in Italia”. “Dove ho lavorato mi hanno sempre trattata come una di famiglia” racconta Helena: “E la signora dove lavora mia madre da 14 anni è come una seconda mamma per me”. Anche Nita con gli italiani ha buoni rapporti: “I miei amici più stretti sono italiani, senegalesi e bengalesi. Sono persone che quando hai bisogno o ti serve un consiglio ci sono”. E se la cultura italiana e quella romena sono per molti versi affini “perché siamo tutti latini”, un piccolo appunto c’è: “Una tradizione del mio paese che mi manca è il capodanno. Da noi facciamo festa con la famiglia dalle 8 di sera fino alla mattina. Invece qua a mezzanotte si fanno i fuochi di artificio, si mangiano un po’ di lenticchie e poi tutti a dormire. Ma come è possibile?”.
Sandra Fratticci
(7 dicembre 2011)