Un network per i giovani europei musulmani

Vengono da Italia, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Germania e Svezia; ed hanno origini marocchine, tunisine, somale, irachene, iraniane, pachistane, indiane e israeliane.  Sono i giovani che hanno dato vita al Network per una Nuova generazione europea. Un progetto sostenuto dall’European Foundation for Democracy per dare visibilità agli europei musulmani, i quali oggi non hanno una voce unitaria che li rappresenti e che interagisca con le istituzioni.

“L’islam liberale o moderato è in contrapposizione all’Islam fondamendalista” spiega uno dei membri del Network, Ejaz Hamad, pachistano che vive in italia da 22 anni. “Ci riuniamo ogni anno a Bruxelles per lavorare sull’integrazione dei musulmani nel contesto europeo.  Non solo le istituzioni anche i musulmani che vengono a vivere in Europa devono mediare, abbandonando determinati dogmi, per altro discutibili, del loro paese d’origine. Penso ad esempio al Pakistan, quindi alla poligamia, ai diritti negati delle donne e alla possibilità di essere condannati a morte per una bestemmia”. “Il problema principale è la frammentazione della comunità islamica. Chi afferma di essere rappresentante dei musulmani in realtà mente, perché non può rappresentare nessuno: l’islam infatti si basa su un rapporto dio-individuo, non ci sono mediazioni ne’ intermediari”, interviene Valentina Colombo scrittrice e ideatrice del network presentato presso la facoltà di Scienze della Comunicazione de La Sapienza il 13 dicembre 2011.

“La frammentazione della comunità islamica non è l’unica causa” sottolinea Mostafa El Ayoubi, caporedattore di Confronti, mensile di fede, politica e vita quotidiana. “In Italia la situazione è più complessa. L’immigrazione è disomogenea e storicamente recente, a differenza di paesi come Francia o Germania. L’islam non è riconosciuto dallo Stato italiano ed i luoghi religiosi sono legati ai movimenti e ai partiti dei paesi d’origine. Penso faccia riflettere che la più grande Moschea d’Europa, che si trova a Roma, sia legata alla diplomazia dei Paesi Arabi”. Sandra Sarti del dipartimento Libertà civili e migrazioni del Ministero dell’Interno interviene fuori programma. Precisa che l’iter necessario, affinché una comunità religiosa ottenga l’intesa con lo Stato italiano, è un percorso di analisi in cui si accerta che l’associazione religiosa sia ben ramificata nel territorio, abbia esclusivamente finalità di culto, uno statuto e dei referenti con i quali interloquire. “Faccio parte del comitato islamico e posso dire che i gruppi musulmani non hanno ancora trovato un cappello comune sotto cui riunirsi; inoltre molti luoghi di preghiera agiscono in realtà come centri culturali in cui si insegna arabo ai bambini e si porta avanti la divulgazione delle tradizioni non legate alla religione”

“Le seconde generazioni sono interpreti di innovazione ed oggi chiedono di essere riconosciuti come tali.” Esordisce Adel Jabbar, sociologo dei processi migratori. “Sono giovani che hanno dei padri e delle madri che dal punto di vista culturale non sono i loro genitori e che osservano la frattura che questi vivono avendo dovuto modificare completamente la loro personale strategia identitaria”. Legge alla sala le riflessioni di giovani stranieri nati nel territorio europeo e tra tutte spicca quella di un ragazzo algerino:  “Le nostre madri vivono nella cultura del dubbio, sono rimaste al centro del Mediterraneo. Tra l’Algeria e Marsiglia. Non sono annegate, vivono là in mezzo all’acqua.”

M. Daniela Basile(15 dicembre 2011)