Elezioni in Egitto, l’islam alla sfida democratica

Hossam Hassan durante il suo intervento

“La rivolta continua, ci vorranno anni per cambiare il paese. La strada è lunga e un passo importante sarà fatto con l’elezione del nuovo presidente a giugno”. Così Hossam Hassan, fotografo egiziano, fa il punto della situazione nell’ambito di un workshop organizzato dall’Accademia d’Egitto la mattina del 27 gennaio per celebrare l’anniversario delle proteste di piazza Tahrir, che portarono alla caduta del regime di Mubarak. Il consiglio militare aveva previsto che la transizione si sarebbe completata in sei mesi. I tempi si sono allungati e solo da pochi giorni sono stai resi noti i risultati delle votazioni per i rappresentanti della camera bassa egiziana. Schiacciante la vittoria di Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani, che con il 43,4% dei consensi ha ottenuto 215 dei 498 seggi della neonata Assemblea del Popolo. A seguire il partito dei Salafiti, Al Nour, terzi i liberali di Al Wafd, rispettivamente con 96 e 41 seggi. Dal 29 gennaio al 6 febbraio e dal 14 al 22 dello stesso mese si svolgeranno i due turni per eleggere il Consiglio della Shura, equivalente del nostro Senato.
Testimonianza diretta Hossam è stato impegnato in prima linea nel movimento che ha visto il coinvolgimento trasversale della popolazione egiziana: “per anni ero rimasto deluso dal loro comportamento, ora sono tornato ad avere fiducia. A piazza Tahrir ho imparato molto della gente, il regime voleva tenerci divisi. Ma lì eravamo tutti sulla stessa barca, mangiavamo e vivevamo insieme. Le signore ricche ci portavano il cibo, la gente più umile faceva da guardia. Avevamo questa sensazione mai provata prima di riuscire a realizzare un cambiamento, la mia produzione artistica ne è stata  condizionata”.
Strategia della paura “Persiste un numero di persone legate al regime, nei media, tra le forze dell’ordine. Dicono che l’Egitto non sia sicuro perché vogliono uccidere la rivoluzione. La mia esperienza è diversa, posso girare tranquillamente anche di notte. In molti temono i Fratelli Musulmani, ma il loro successo è parte del processo di transizione. Difficilmente cambieranno tradizioni ben radicate, come la vendita di alcolici in piazza Tahrir. Pensano più alle poltrone che alla gente per la strada”.
La sfida politica degli islamisti “L’islam politico sta vivendo un risorgimento interno, sta imparando a confrontarsi con la modernità”, spiega Mohamed Nadir Aziza, direttore generale dell’osservatorio per il Mediterraneo. Nell’immediato servirà una nuova costituzione, “in cui bisognerà vedere quale sarà il peso della shari’a. Si può parlare di secolarizzazione dei poteri, più difficilmente di laicità in uno stato arabo”. Nel medio termine sarà impossibile fare previsioni, bisognerà attendere le presidenziali, “giro di boa per capire la situazione. La normalizzazione passa dall’accettazione del risultato elettorale. La speranza è che ora si arrivi ad una cultura della pluralità”. Nonostante Fratelli Musulmani e Salafiti raggiungano insieme circa il 70%, sembra da escludere un’alleanza tra le due forze, in dissenso su più punti. I primi vorrebbero concentrarsi su riforme socio-economiche,  gli altri sul recupero della morale islamica. Più probabile che sia Al Wafd ad entrare nella coalizione di governo, soprattutto per una questione aritmetica.

Mohamed Nadir Aziza (al centro) dg dell'osservatorio per il Mediterraneo

Lo sguardo distaccato dell’occidente Nota polemica in chiusura da parte di Lamia Mekhemar, ambasciatrice egiziana presso la Santa Sede. “In occidente c’è un distacco dalla realtà su ciò che sta avvenendo, sembra di ascoltare voci ufficiali di organi di regime. La piazza è ancora piena di rivoluzionari, più di un anno fa, ma non se ne parla. Se il medio oriente viene visto con questi occhi si ignorano i fatti”.
Voci dalla comunità romana Il successo degli islamisti era annunciato, “non perché in Egitto ci sia una tendenza verso i partiti legati alla religione, ma per il semplice fatto che da decenni non sono più esistite formazioni politiche e l’unico movimento organizzato erano i Fratelli Musulmani”, spiega Ahmed Gaber Haiba, tecnico informatico e insegnante di arabo. “Hanno un leader ben visto (Mohammed Badie, ndr) e sono stati tra i pochi ad aiutare la popolazione. Non sarebbe strano vedere un cristiano copto votare per un loro candidato”. Sui timori manifestati da una parte dell’opinione pubblica per la sconfitta delle forze laiche: “tutto è possibile, ma credo che per i primi 3-4 anni chiunque sia al potere si terrà su una linea moderata. Dall’11 settembre i media hanno contribuito ad alimentare la paura di un islam terrorista e nemico dell’America e dei suoi alleati. Ma i Fratelli Musulmani da noi non sono estremisti. A conferma di questo, durante le rivolte, i capi dell’organizzazione hanno partecipato a riunioni con esponenti dell’occidente (tra cui l’ex presidente Usa Jimmy Carter, ndr)”. La maggiore preoccupazione “era arrivare al 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, con ancora i militari al potere, ma almeno abbiamo un calendario con scadenze chiare. Nonostante le perplessità, molti credono a questo Egitto che sta cambiando”.
Le preoccupazioni della minoranza copta Nonostante le garanzie di Badie, che ha assicurato che la comunità copta, il 10% della popolazione, potrà vivere in libertà e giustizia, il risultato elettorale è stato accolto con apprensione dai membri presenti a Roma, soliti riunirsi nella chiesa di via Flaminia. Randa, in Italia dal 1999, laureata in ingegneria elettronica e barista in via Savoia, teme che anche i cristiani dovranno seguire la shari’a e che già dalle scuole diventi obbligatorio mettere il velo. “La mia vita è qui ma per la mia famiglia al Cairo è dura. Speriamo che finiscano le violenze subite durante la transizione, dove  è mancata una forza di controllo e di polizia”. Ancora più catastrofica l’interpretazione di Ayman, giardiniere: “è l’inferno. Le forze che hanno portato avanti la rivolta non sono state elette, mi sembra molto strano”. Sulla stessa linea Rasmi, cuoco nel nostro paese da 18 anni: “Penso ci siano stati brogli, a differenza di ciò che dicono i telegiornali. L’Arabia Saudita ha interesse che la tradizione religiosa non venga perduta”. Controcorrente John, all’ultimo anno di liceo scientifico: “non credo che si ricada in nuovo regime. Sentendo il parlamento e i giovani egiziani che hanno votato, sembra che i Fratelli Musulmani guardino al paese, all’uguaglianza. È vero, all’inizio dicono tutti così, ma non ci faremo ingannare un’altra volta”.

Gabriele Santoro
(28 gennaio 2012)