Il dibattito sulla cittadinanza fra ius soli, ius sanguinis, ius loci, ius culturae

Interessantissimo dibattito mercoledì 28 marzo al Consiglio Nazionale delle Ricerche sulla cittadinanza : sovrapposta, in questa occasione, alla sua variabile più problematica, la popolazione immigrata nel nostro paese. Ius soli, ius sanguinis, ius loci, tutti e tre questi criteri giuridici sono stati esaminati, con attenzione speciale sul diritto di residenza, o di domicilio ( ius loci) che una persona può conquistare indipendentemente dal suo luogo di nascita. Erano presenti demografi, economisti, giuristi, molto affiatati, un gruppo di studiosi impegnati in una discussione assai poco accademica.

Fabio Marcelli ha menzionato la Corte internazionale di Giustizia che nel 1955, con una sentenza, ha decretato sufficiente un “legame genuino” con il territorio come principio per il riconoscimento della cittadinanza. La dizione “legame genuino” è rimasta poi negli anni successivi a fare da precedente in cause giuridiche analoghe. Uno straniero che vive in Italia da venti anni ha maturato un legame genuino? Lo ius loci, per l’appunto, segnala che la condivisione di una persona di tutto quello che avviene nel territorio nel quale abita costituisce un’esperienza primaria rilevante, anzi decisiva per il diritto alla cittadinanza. In questo senso, la giurista Laura Ronchetti ha raccomandato un controllo ravvicinato di quanto viene stabilito nei procedimenti anagrafici : l’anagrafe, l’iscrizione all’anagrafe, con le sue regole, può facilitare o complicare la conquista dello ius loci – l’attestato prezioso di quanto a lungo un immigrato ha vissuto in un luogo e in un paese. Le norme locali, si è compreso, sono cruciali per la fluidità del diritto, anche più di quelle nazionali. L’intera materia del trattamento degli immigrati, ad esempio, è regolata dalla nostra legge nazionale solo in via formale : in pratica viene gestita dalle singole regioni (a partire dalla riforma della Costituzione del 2001) che ne stabiliscono i diritti sociali, all’istruzione, all’assistenza, al voto amministrativo, in una parola, al welfare e alla cittadinanza sostanziale. Le “frontiere interne” nelle quali si imbattono gli immigrati vengono rimosse con molta difficoltà. Il ministro Riccardi, è stato ricordato, ha parlato anche di uno “ius culturae”, intendendo alludere all’esperienza formativa dell’istruzione per i giovani che hanno frequentato il sistema scolastico italiano.

Una diversa prospettiva si apre quando consideriamo la crisi che il concetto stesso di cittadinanza sta attraversando. Il termine “cittadinanza” fa appello al termine “sovranità”, quindi agli stati sovrani. Poiché il mondo degli stati sovrani si va via via globalizzando e i rapporti fra i singoli stati si infittiscono visibilmente, è dubbio che in futuro la cittadinanza conservi il significato integro e insostituibile che detiene oggi. Nella discussione è stato richiamato il concetto di cittadinanza universale e il dibattito filosofico-politico fra comunitaristi e cosmopolitisti. Daniele Archibugi, che si dichiara cosmopolitista, cita il caso dei rifugiati politici, a suo parere la prima categoria di cittadini universali, con gli esempi dei rifugiati afgani e dei rifugiati iracheni. Gli studiosi cosmopolitisti sono critici del concetto di sovranità nazionale e del rilievo che i comunitaristi ( per i quali il supremo decisore è lo Stato) assegnano a tutti i simboli dell’appartenenza nazionale. Il punto delicato sta nella contraddizione che corre fra l’universalismo indiscusso dei diritti umani e il potere di esclusione che le leggi sulla cittadinanza – concedendola o negandola – portano inevitabilmente con sé. Etienne Balibar, cita Archibugi, ha definito “razzismo istituzionale” le pratiche con le quali gli stati decretano l’inclusione o l’esclusione degli stranieri dalla comunità dei cittadini. Una nota finale è venuta da un intervento del pubblico : la nostra esperienza personale con il fenomeno dell’immigrazione è a due facce, da un lato la incoraggiamo perché l’energia e la forza lavoro degli stranieri ci è utile e bene accetta, dall’altro la subiamo perché non possiamo prevedere l’entità dei flussi e sappiamo di dover gestire una popolazione aggiuntiva. Sono questa mutevolezza, questo doppio registro a influire sui nostri comportamenti.

Sulla necessità e sull’utilità della forza lavoro straniera non vi sono dubbi, come ha osservato un economista : è stato calcolato che nei prossimi anni l’Europa avrà bisogno di un incremento di ben quattro milioni di lavoratori qualificati.

Simonetta Picone Stella(29 marzo 2012)