Sono “grandi come schermi cinematografici” i dipinti di Roberto Sebastian Matta, pittore cileno che abbracciò il surrealismo e che rendeva i suoi quadri così pieni di colore che sembra di entrarvi dentro. Proprio una sua frase, che campeggia nello spazio AuditoriumArte, sembra confermare questa impressione: “l’arte consiste nel dare il sentimento di una grande profondità spaziale con quasi niente. La vivacità più sfolgorante di colori è data dalla polvere delle ali di farfalle”.
L’Auditorium di Roma, in collaborazione con la Fondazione Echaurren Salaris, ha inaugurato giovedì 15 marzo 2012 la mostra Matta – Un surrealista a Roma, per ricordare, in particolar modo, il periodo romano di questo artista giunto nella capitale nel dopoguerra, quando la città stava rinascendo, tra il cinema neorealista e uno spirito artistico che non si discostava dalle tematiche di giustizia sociale.
A dispetto di quello newyorkese o parigino, il periodo romano di Matta, che sta nel mezzo, è il meno conosciuto, ma furono ben 6 anni – dal 1949 al 1954 – in cui Matta si dilettò a riprodurre i paesaggi romani, a partire dai buffi Cold cats (1951), simpatico parallelismo con gli hot dogs americani. Dai panorami metropolitani angosciosi del periodo newyorkese, all’immaginario naturalistico della città eterna. Un periodo di rinascita dal trauma di essere stato allontanato dal movimento surrealista dallo stesso Andrè Breton che lo fondò nel 1924. Un periodo, quello di New York, in cui Matta aveva creato a fianco di Le Corbusier, Federico Garcia Lorca, Salvador Dalì, Jackson Pollock. In una vetrina è esposta una lettera disegnata, che Matta inviò alla madre, “mamacita”. Ma in Italia il clima artistico non fu da meno. Nella vetrina a fianco sono raccolti i cataloghi di varie mostre, tra cui una datata 5 dicembre 1957: “4 pittori contemporanei: Afro, Burri, Capogrossi, Matta”. E ancora Renato Guttuso, Palma Bucarelli, Lucio Fontana, Fernanda Pivano, Peggy Guggenheim, artisti di ogni genere come Alberto Moravia e lo stesso Pablo Neruda, suo conterraneo, in esilio dal Cile.
Nel ’54 Matta si trasferì a Parigi, e anche la sua arte “si trasferì” dai paesaggi “reali” a quelli interiori come nel bellissimo Aux franges du reve (1956), “proiezione analogica degli stati del preconscio”. In questo periodo perfezionò inoltre “una tecnica basata sulla materia fluida, brillante e trasparente”, evidente in questo quadro. È dopo il soggiorno romano che le tele si fanno gigantesche – esposte nel Foyer Sinopoli – come La lumiere de l’Honni (1963-1965) “in cui l’artista riprende il mito di Prometeo che dona il fuoco agli uomini, accentuandone però la connotazione rivoluzionaria e sostituendo la figura classica con l’Honni, personaggio mitico di sua invenzione, l’escluso che desta scandalo rispetto alla mentalità corrente, colui che risveglia la gente dal sonno della coscienza”. Ma Matta continuò a ricordare il nostro paese in Italia Matta (1987) “dove seguendo il suggerimento leonardesco di vedere nelle macchie le immagini, il pittore fa affiorare le figure” da un fondale blu intenso.
Sulla cima delle scale della Cavea è possibile ammirare anche “il Matta plastico”: otto sculture in bronzo realizzate tra il 1970 e il 1993, figure insieme antropomorfe e meccaniche, che ricordano le divinità dell’America centrale, “antiche e moderne al tempo stesso”. Matta le descriveva come “personaggi di un’altra epoca fatti con pezzi industriali”.
Insomma Matta amò molto l’Italia, anche dopo il suo trasferimento a Parigi tornò spesso per vacanza o lavoro, mentre dalla fine degli anni ’60 fino alla sua morte, visse a Tarquinia, piccola cittadina etrusca del viterbese, dove è sepolto, trasformando un antico convento, La Bandita, in casa-atelier, il suo ultimo “buen retiro”. La piazza principale della città, piazza del Comune, ha una pavimentazione che ricorda Roma e Piazza del Campidoglio. Il disegno infatti richiama volutamente quello di Michelangelo, ma ha un non so che di esoterico, vista la presenza di una serie di occhi neri disposti tutti intorno a una mano, con un occhio bianco nel palmo, posta al centro della “stella”. Questa fu una delle ultime opere immaginifiche di Sebastian Matta.
Alice Rinaldi(15 marzo 2012)