Sono duecento gli Stati in tutto il mondo e circa seimila le lingue parlate. Ogni linguaggio ha un suo patrimonio, una ricchezza che nel tempo aumenta per motivi storici, evolutivi e grazie all’incontro con altre lingue: flussi migratori, dominazione coloniale, scambi commerciali e comodità globali.
Ogni due settimane muore una lingua. Ed anche le lingue muoiono, rischiano di estinguersi per assenza di parlanti. “Ci sono delle vere e proprie iniziative che cercano di non lasciar morire quelle a rischio di estinzione” ha spiegato Maria Antonietta Saracino, del dipartimento di Studi europei, americani e interculturali della Sapienza, all’incontro Migrazioni/Plurilinguismo tenutosi martedì 28 febbraio nell’ambito del ciclo di seminari organizzati dal Progetto interdisciplinare Migrazioni del dipartimento Identità culturale che coinvolge 13 istituti del CNR con la supervisione scientifica di Maria Eugenia Cadeddu. Un incontro che ha viaggiato nel tema del plurilinguismo partendo da un approccio metodologico, approdando alla dimensione politica, attraversando la realtà letteraria e concludendo con il problema della comunicazione pubblica e giuridica.
Miopie metodologiche. Hansmichael Hohenegger dell’istituto per il Lessico intellettuale europeo e storia delle idee del CNR ha sottolineato come in Italia si raccomandi tanto di imparare le lingue senza poi dare un sistema formativo adeguato. Dal cinema doppiato al numero di ore non adeguato che la scuola dell’obbligo dedica all’insegnamento della lingua inglese. Ma le miopie nell’approccio alle lingue esistono anche in campo accademico. “Esistono due tipologie di miopie umaniste”, ha spiegato Hansmichael Hohenegger. “La prima è avere un approccio che dia per scontato che ci siano dei sentimenti umani universali. L’altra è quella che porta a dare un rilievo troppo forte al passato. Bisogna considerare lo spazio-tempo adeguato, la geografia e la dimensione del viaggio per capire la diffusione delle idee e la formazione di parole e concetti”.
Onestà linguistica. Ed è proprio in nome di questa onesta e non pregiudiziosa rilettura che la parola “ospite” scopre il suo retrogusto di pericolosità, associazione immediata che giustifica l’etichette comportamentali che chi ospita e chi è ospitato devono rispettare. Ed è altrettanto interessante il percorso di analisi sulla parola “tolleranza” che se guardata senza veli e pregiudizi è una parola che indica una condizione temporanea da superare con un riequilibro.
Vivere tra le lingue. Maria Antonietta Saracino del dipartimento di Studi europei, americani e interculturali della Sapienza, il cui titolo dell’intervento è Vivere tra le lingue. La letteratura e i Mondi Nuovi, ha introdotto il suo intervento raccontando un frammento della sua biografia: come ha cominciato a vivere tra le lingue. Anni ’70: neolaureata appena ventitreenne approda per volere del suo relatore a Sheffield. Spaesata, il secondo giorno dal suo arrivo, cerca di capire come funzionano le cose in quell’università. Bussa alle porte dei suoi colleghi, ma è ora di pranzo: l’università è deserta. Solo in una stanza c’è qualcuno. Una stanza ricca di tappeti e maschere africane. Viene così a sapere di un progetto nel Sudafrica. Vuole partecipare, ma per poterlo fare deve saper scrivere perfettamente inglese. In un mese grazie ad un corso intensivo di scrittura e alla sua tenacia riesce a farsi inserire nel progetto.
Calibano torna libero e padrone della sua lingua? Inizia così la sua vita tra le lingue, lingue di territori colonizzati dove l’inglese era imposto, idioma di mediazione per etnie che non nutrivano simpatia l’un per l’altra, lingua utilizzata per la letteratura colta, poi odiata e rifiutata per protesta, e di nuovo usata ma imbastardita per chi voleva farsi leggere dal mondo e allo stesso tempo usare un linguaggio che potesse raccontare la propria storia, una storia di certo non english. Ha raccontato come ai bambini arrivati alla prima elementare venisse dato un nome nuovo: inglese. La Soracino ha anche descritto la potenza espressiva di questo “imbastardimento” linguistico e i grandi autori che ha incontrato e che il mondo poco dopo avrebbe conosciuto e riconosciuto, come il premio nobel del 1986 Wole Soyinka. Ha chiuso il suo intervento con la lettura di Discourse on The logic of Language di Marlene Noubese Philip, poetessa canadese di seconda generazione. In questa poesia il rapporto con la lingua madre si snoda in tutta la sua complessità e “angoscia”, metafora di una ricerca e legame con delle origini mai conosciute ma presenti. I versi diventano così intima cantilena dove la parola english si trasforma in ritmata dissolvenza in anguish.
La comunicazione pubblica. Gli interventi della prima parte dell’incontro hanno così confermato ciò che Manuela Sanna, responsabile della commessa Migrazioni per il comparto degli istituti di area umanistica, ha sottolineato nella sua introduzione al convegno: “potrebbe sembrare che all’apparenza le scienze umane con le migrazioni non abbiano a che fare, invece il loro ruolo è tra i più determinanti.” L’intervento delle ricercatrici Manola Cherubini e Marina Pietrangelo dell’istituto di Teoria e tecniche dell’informazione giuridica del CNR hanno poi esplorato altri aspetti del rapporto Migrazioni/Plurilinguismo. Hanno portano avanti un percorso concettuale e pratico sulla lingua utilizzata nelle disposizioni e quindi norme emanate dai diversi settori della pubblica amministrazione.
Il burocratese, possibile il suo superamento. I binari di azione proposti sono due: da un lato creare la possibilità di comunicazioni ufficiali che non siano solo in italiano e dall’altro la semplificazione del linguaggio per gli italiani stessi che spesso provando a sfogliare la Gazzetta Ufficiale abbandonano la lettura per incomprensibilità. Le due ricercatrici hanno confermato che questo processo di illegibilità delle comunicazioni giurisprudenziali non è solo dovuta al linguaggio tecnico ma anche ad una ambiguità di fondo che non ne permette una buona leggibilità e una decadenza che nel tempo si è acuita escludendo così il cittadino. La comunicazione pubblica, disciplina neonata che fa fatica ad inserirsi stabilmente nella pubblica amministrazione, potrebbe esserne la soluzione. Marina Pietrangelo ha dimostrato inoltre sull’esempio privilegiato qual è l’Unione Europea che la possibilità del parlare in lingue differenti nei siti web di diffusione al pubblico è oggi più facile. Disposizioni sulla costruzione di un ponte o sulla regolamentazione degli orari commerciali sono documenti che pur mantenendo le loro peculiarità linguistiche possono arrivare a tutti. Cosa necessaria in un’era che permette e pretende accessibilità e trasparenza nel settore pubblico. Una buona notizia.
M. Daniela Basile(1 Marzo 2012)