Forse non tutti sanno che… Loreena McKennitt, prima voce indiscussa della musicalità irlandese, è in realtà nata a Morden, in Canada. I suoi genitori, Jack e Irene, sono di origine irlandese e scozzese. E lei fin da piccola ha sentito la necessità di ricercare in musica quelle stesse origini.
Dopo 9 anni di allontanamento dalle scene, in seguito alla tragica perdita del fidanzato, dagli anni ‘90 è tornata in Italia per la prima volta nel 2007, scegliendo piccole città come Udine e Brescia. Solo quest’anno Loreena è finalmente tornata a Roma, il 19 aprile, a cantare di fronte all’immenso pubblico della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium, con il Celtic Footprints Tour, penultima tappa prima del gran finale a Barcellona, il 24 aprile.
Un concerto in cui voce e musica risultano impressionanti, perfino migliori rispetto alle registrazioni degli album. Loreena quando parla ha una voce calda e sensuale, quando canta la sua estensione arriva a suoni angelici. Dice subito che il pubblico italiano le era mancato, scherzando sulle sue scorpacciate di “gelato”. Con lei sul palco alcuni dei musicisti già noti al pubblico per averla accompagnata anche nelle tournee passate, come il chitarrista Brian Hughes, il violinista Hugh Marsh e la violoncellista Caroline Lavelle, che tanto le somiglia. Colpiscono i virtuosismi, soprattutto quelli di Hugh Marsh che a un certo punto intraprende quasi una “lotta” con la chitarra elettrica: il violino è talmente carico che ne esce imbattuto.
La scenografia semplice, è fatta di tre lampade a candela di stile orientale appese al soffitto, uno sfondo che talvolta diventa cielo stellato e l’intelligente utilizzo delle luci: spot che illuminano musicisti e strumenti nel momento in cui suonano, dalla cornamusa al tin whistle, il flauto irlandese, fino al bodhran, il piccolo tamburo con la bacchetta di legno. Anche Loreena si divide tra il pianoforte, la fisarmonica e la sua amata arpa.
La performance inizia senza di lei, con un pezzo strumentale, Spered hollvedel di Alan Stivell, arpista francese. Sedutasi al piano, l’ensemble esegue una canzone che non è presente in nessun album, Morrison’s jig. E poi un’attenzione particolare all’ultimo – 6 brani dei 20 in scaletta, compreso il bis – uscito nel 2010, The wind that shakes the barley, da un testo di James Joyce. Ma molte sono state le vecchie tracce riproposte, tra cui le prime in assoluto – la numero 3, Stolen child, del primo album, Elemental, autoprodotto nel 1985 a soli 28 anni, e divenuto subito un successo mondiale; o Huron ‘Beltane’ fire dance da Parallel dreams del 1989; quattro brani, All souls night, Lady of Shallot, Bonny Portmore e The old ways da The visit del 1991; due, Bonny Swans e Santiago da The Mask and Mirror del 1994; altrettanti, la ballata Mummers’ dance e The highwayman da The book of secrets del 1997. E di nuovo, i più recenti, Never ending road da An ancient muse del 2006, e Raglan Road dall’album live The nigths from the Alhambra, registrato nello stesso anno nello splendido palazzo di Granada.
Canzoni che spesso sono racconti di amore, passione, povertà, riscatto, e che purtroppo sono difficili da cogliere fino in fondo. Ma Loreena chiacchiera prima delle canzoni, racconta degli irlandesi emigrati in Canada e in Francia, di “bambini rubati”, di viaggi di conoscenza. Il testo di Stolen child è in realtà una poesia di William Butler Yeats, ispirata a vecchie leggende irlandesi. Parla di un essere fatato che cerca di convincere un bambino a lasciare il mondo degli umani e a seguirlo nel mondo delle fate, dove non dovrà più soffrire, for the world’s more full of weeping Than you can under stand – “perché il mondo è più pieno di pianto, di quanto tu non possa capire”.
Il viaggio a Santiago de Compostela in Santiago, canzone tradizionale, da The mask and mirror, album dalle influenze spagnole, celtiche e marocchine, in cui ripropose altre canzoni che sono poesie di St. John of the Cross, W.B. Yeats e Shakespeare, oltre agli originali e le tradizionali canzoni folk irlandesi, come Bonny Portmore e The bonny swans, tracce n° 2, rispettivamente di The visit e The mask and mirror. Uno dei suoi tanti viaggi che hanno reso il suo genere “celtico eclettico”, come è stato definito, con influenze dall’Asia minore all’Irlanda, attraverso il Mediterraneo.
Dalle ballate alle canzoni più meditative, chiude Loreena, prima del tris, con The old ways, una delle sue canzoni più belle – The thundering waves are calling me home to you – ascoltandola, sembra davvero di visualizzare le scogliere d’Irlanda, la sua vera casa.
Alice Rinaldi (19 aprile 2012)
The old ways all’Alhambra di Granada – settembre 2006http://www.youtube.com/watch?v=YPE-JzEIdRg