Nel segno del plenilunio, confronto con l’universo buddhista

Una rappresentazione del Buddha in meditazione

“Il buddhismo non ha una divinità creatrice e non essendoci risposte valide su di essa o sull’eternità, non le cerca, la conoscenza ci sarà data ma prima di allora c’è il silenzio della vita terrena, in cui iniziare il cammino”, spiega Maria Angela Falà, vicepresidente dell’Unione Buddhista Italiana (Ubi), intervenuta nell’incontro dedicato a questa dottrina organizzato dal Museo Nazionale di Arte Orientale Giuseppe Tucci lo scorso 5 aprile, quarto appuntamento di un ciclo focalizzato sul dialogo interreligioso. “Tale concetto viene esemplificato alla perfezione dalla parabola della freccia. Un medico soccorre un soldato ferito da un dardo in battaglia, ma questo non vuole farselo estrarre finché non gli viene detto da chi è stato colpito, da che famiglia o villaggio viene, il tipo di arco che ha usato, il legno impiegato per costruirlo e altri dettagli. L’uomo morirebbe prima di avere queste informazioni. Così se uno dicesse di non voler seguire la via santa del Beato se non dopo aver saputo le risposte ai grandi quesiti, trapasserebbe senza i responsi che cerca”.

Rapporti con lo stato italiano Il numero di buddhisti in Italia è stimato intorno ai 140 mila, tra cingalesi, thailandesi, cinesi, vietnamiti e occidentali convertiti. L’Ubi, nata nel 1985, dal 1991 rappresenta ogni tradizione presente nel nostro paese. “Le maggiori difficoltà sono nell’avere adeguati spazi per il culto, perlopiù sono luoghi privati, abitazioni o sedi di associazioni che prima di diventare pagode avevano altre funzioni. È un problema comune a diverse confessioni, se pensiamo che gli islamici hanno la Grande Moschea, ma la maggior parte di loro prega nei garage”. La questione interreligiosa in Italia è emersa solo da pochi anni, “da circa una ventina si cerca di realizzare una legge quadro sulla libertà di culto, ancora ci basiamo sul Regio Decreto del 1930, depennato ovviamente degli aspetti del fascismo”. Nel 2000 il governo D’Alema firmò l’intesa per regolare i rapporti tra Stato e comunità buddhista, secondo l’articolo 8 della Costituzione, Prodi nel 2007 ha rinnovato l’impegno, “ma tutto è rimasto inattuato, a distanza di 12 anni attendiamo la ratifica. C’è chi sta peggio, i musulmani non hanno nemmeno iniziato questo percorso. La Carta del ’48 è bellissima, ma se non diventa operativa, si creano divisioni tra chi ha concordato, intese o nulla, cioè tra cittadini di serie A, B, C. Ad esempio un nostro monaco non avrebbe nemmeno il diritto di dare conforto a un malato in ospedale, potrebbe entrare solo come semplice visitatore”.

Maria Angela Falà, vicepresidente dell'Ubi

Religione o filosofia? “Il suffisso –ismo è stato dato in Europa nell’Ottocento, in Asia si usa il termine dharma. Fino ad allora non ci si era resi conto che in oriente la tradizione di vari paesi derivasse da un’esperienza comune, legata alla figura del Siddharta. Non si può cercare una categoria unica per comprendere un universo vasto, “ci si domanda se sia religione, filosofia, scienza dello spirito o psicologia. Fa tutto parte dello stesso aspetto, dare una definizione è riduttivo. Sarebbe come avere un pc ed identificarlo solo con word. Il fondatore è un uomo, di eccezionale grandezza, ma non ha nulla a che vedere con la divinità, né è un profeta. È un esempio percorribile da tutti. Non ci sono in senso stretto i caratteri dei culti che conosciamo, ma ancor meno della filosofia, che è legata alla conoscenza del qui ed ora e cerca di comprenderne i meccanismi, il buddhismo è rivolto a fini trascendenti. Dovendo dare per forza una classificazione – cara a noi occidentali – e una risposta al quesito, ha più senso parlare di religione”.

Le differenti tradizioni Il nucleo comune alle diverse tradizioni è l’esperienza del Buddha, poi ogni paese ha avuto un proprio sviluppo. Per la vastità dei territori toccati da questa dottrina, sostanzialmente panasiatica, non poteva andare diversamente. “In Sri Lanka, Birmania, Laos, Cambogia e Thailandia è maggiormente diffuso il Theravada, la scuola degli anziani, che mantiene gli insegnamenti più antichi e lavora sulla spiritualità personale tramite la guida di maestri. Il Mahayana è successivo, prevalente in Cina, Giappone, Corea e Vietnam, ha una maggiore attenzione all’altro, alla compassione, è più aperto. Il Vajrayana, del Tibet e della Mongolia, più alcune isole nipponiche, sviluppo del Mahayana, cerca con un rapido ingresso nella conoscenza ultima di raggiungere l’illuminazione già in questa vita”. Nel mondo globalizzato è stato inevitabile il contatto e confronto tra culture orientali ed occidentali, in tutti i campi, dalla filosofia alla cinematografia: “è una ricchezza di cui essere fieri, si può creare un mondo nuovo senza dimenticare le radici, con uno scambio reciproco di valori, dove ognuno può insegnare e imparare allo stesso tempo. È la sfida che abbiamo di fronte”.

La morte del Siddharta, coricato sul fianco destro

I punti in comune  “Il buddhista, per definirsi tale, deve seguire il cosiddetto triplice gioiello, costituito dal risveglio, inteso come illuminazione (buddha), l’insegnamento (dharma) e la comunità (sangha), formata da uomini e donne laici e monaci. Sono il segno del ‘rifugio’, luogo saldo su cui basare le certezze che il praticante usa per avanzare nel suo cammino spirituale”. Solo dal 2000 le Nazioni Unite hanno riconosciuto la festa del Vesak come internazionale. La sua celebrazione ricorda la nascita, l’illuminazione e la scomparsa del Buddha. “È una ricorrenza che cade nel mese lunare omonimo, corrispondente al plenilunio di maggio, ed è legata ai momenti centrali della vita del Siddharta, nato per strada, a metà tra l’abitazione del padre e del nonno, simbolo che la sua casa è il mondo, la natura, elemento in comune tra più religioni. Nei vari paesi è un’occasione per il rinnovamento, gli alloggi vengono puliti e aperti ai più poveri, si fanno beneficienza e regali ai bambini, ci si veste di bianco. In Birmania si dona il sangue, nello Sri Lanka costruiscono lampade con bastoncini e carta velina, più grandi a seconda dell’importanza della famiglia, fino a tre metri di altezza”. In Italia, per convenzione, il Vesak viene festeggiato l’ultimo fine settimana di maggio, indipendentemente dal plenilunio “con tutte le tradizioni buddhiste riunite, cosa che non accade facilmente in Asia, dove ogni paese ha la sua”.

Gabriele Santoro(6 aprile 2012)