“Quello dei social media è un fenomeno che può essere fatto risalire al XVIII secolo, gli effetti non stanno nel nuovo mezzo, internet nel caso della ‘primavera araba’, ma nell’autocoscienza degli utenti”, spiega Armando Salvatore, professore di sociologia delle comunicazioni all’università “L’orientale” di Napoli, intervenuto lo scorso 23 aprile presso l’Istituto per l’oriente C.A. Nallino per presentare il numero speciale della rivista facente capo allo stesso Ipocan “Oriente moderno”, focalizzato sullo sviluppo del web nel mondo arabo.
L’avvento dei blog Il sociologo tedesco Jurgen Habermas fa risalire la nascita della modernità alle trasformazioni socio-economiche dell’illuminismo, in luoghi fisici di incontro come le coffee houses inglesi o tramite le pubblicazioni di periodici. “Gli stessi aspetti si sono riproposti nel Medio Oriente post coloniale, in tempi drasticamente abbreviati. I blog hanno avuto un ruolo fondamentale a partire dalla metà degli anni 2000, sfruttando la loro capacità di sfuggire al controllo delle autorità politico/religiose, portando cambiamenti inizialmente nella sfera privata dei rapporti personali, salendo in seguito a quella pubblica”. Un fenomeno paragonabile, dall’inizio degli anni ’90, era stato l’avvento della tv di informazione Al Jazeera e di quotidiani promossi da giovani imprenditori e giornalisti, fuori dal coro degli organi ufficiali di regime. Con la restrizione di questi spazi a disposizione nell’ultimo periodo, la piattaforma di internet “ha consentito un allargamento del ventaglio di soggetti in grado di esprimersi”.
Verso la rivoltaDal 2008 ci sono stati i primi tentativi di denuncia contro i regimi, soprattutto in Egitto, “con la voglia di uscire dalla sfera virtuale per riappropriarsi della strada, delle piazze”. Tutto questo ha attirato l’attenzione della polizia elettronica, come nel caso di Khaled Said, blogger ventottenne brutalmente ucciso fuori da un internet point di Alessandria, “per aver rivelato la spartizione tra due agenti di droga sequestrata. L’uso di facebook è stato determinante perché ha raccolto e concentrato l’entropia dei blog, che finiva per sfilacciare la comunicazione, aprendo una breccia nello stallo che si era creato”. Un lavoro importante in tal senso è stato svolto da Wael Ghonim, ingegnere e dirigente di google medio oriente, operativo da Dubai, successivamente tra gli attivisti del gennaio 2011, che in un’intervista ha affermato come la rivoluzione fosse paragonabile a wikipedia: tanti contribuiscono in forma anonima, ma non c’è nessun leader.
Gli effetti “Un risultato importante è stato nell’evoluzione del linguaggio. Se la tv aveva aperto all’arabo parlato, internet ha contribuito ad una ibridizzazione e slittamento dei toni, passando dal colto al popolare, intrecciandosi anche con il linguaggio dei cellulari, con un uso addirittura di traslitterazioni in caratteri latini. Poi sono stati varcati dei limiti prima impensabili, con il ricorso ad insulti e volgarità, segni dell’insofferenza al regime”. Al contrario sembra aver fatto passi indietro quello che era stato un catalizzatore delle rivolte, il canale di news Al Jazeera, “ormai sempre più organo dell’asse saudita-qatariota, basta pensare a come sta trattando differentemente i casi Siria e Bahrain, di cui si è tornati a parlare solo per la gara di formula 1 del 22 marzo. Il network non è più quello che dal ’96 a pochi mesi fa ha fatto da chioccia a bloggers, organizzando convegni e stages”.
Come l’Italia ha affrontato la questione “In Italia c’è troppo divario tra la cronaca e quello che c’è dietro, le radici dei movimenti”, commenta Paolo Di Giannantonio, giornalista e volto del tg1. “L’ambiente accademico tende troppo a rifugiarsi nel classico senza spiegare il contemporaneo. Già da prima dell’11 settembre la stampa era a corto di informazioni e risposte sui paesi arabi e dovevamo comprare servizi preconfezionati da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania. Anche ora in Siria e Yemen è difficile lavorare, sono youtube, blog e twitter a darci molti degli aggiornamenti. Il ruolo di giornalista non è più quello di semplice mediatore di notizie, che andava bene fino agli anni ‘90”. Troppo semplicistico per Di Giannantonio il racconto della rivolta in Egitto, affidata a giovani di belle speranze, che si radunano in piazza per cambiare il futuro, “bisognerà capire, con gli strumenti adatti, quali sono state e quali saranno le dinamiche, le divisioni tra città e campagne. L’avanguardia si è ritrovata, ma il dubbio è se ci sarà uno sviluppo fino al cuore della società”.
Gabriele Santoro(24 aprile 2012)