Accordo d’integrazione: lo sguardo della Commissione diritti umani

Pietro Marcenaro (immagine dal sito Sinistrainrete)

Proponiamo una lettura dell’accordo di integrazione per lo straniero di Pietro Marcenaro, senatore Pd presidente della Commissione straordinaria Diritti Umani del Senato.

Quali le risorse presenti o assenti. Quali da cogliere come opportunità. “L’idea del provvedimento di costruire una sorta di percorso “a punti” per la permanenza degli immigrati sul territorio chiama in causa da un lato il ruolo dello stato, dall’altra quello delle persone che raggiungono il nostro paese. In entrambi i casi, è evidente che l’efficacia delle disposizioni previste sarà direttamente correlata alla capacità delle pubbliche amministrazioni di strutturare dei percorsi di cittadinanza attiva nei confronti dei migranti, a partire dalle strutture di formazione, di costruzione di reti sociali, di avviamento al lavoro, di politiche abitative. La questione economica, credo, non sia il punto decisivo, per quanto all’aumentare delle risorse possono crescere  le possibilità di realizzare buone pratiche. Credo invece che sarà fondamentale la capacità di fare rete tra le realtà che già oggi operano con grande efficacia dal basso nei territori: e penso non soltanto ai servizi già attivi presso Regioni, Province e Comuni ma anche all’inestimabile, e spesso sottovalutato, patrimonio di competenze presenti nel terzo settore, nell’associazionismo, nel volontariato, nelle ‘ong. La leva su cui agire, in tempi di un bilancio statale alle prese con debito pubblico, parametri europei e spending review, sarà inoltre la capacità di realizzare all’interno delle comunità straniere presenti in Italia delle reti di solidarietà e di auto-emancipazione che portino i cittadini stranieri dentro a un virtuoso percorso di radicamento nel territorio.”

 Richieste di condotta. Il Dpr prevede serie detrazioni di punti in caso di condanna, anche non definitiva, sia civile che penale per lo straniero. Cosa ne pensa?

“Al di là dei singoli aspetti, i criteri guida che ispirano i valori della convivenza civile nel nostro paese sono già espressi egregiamente nella Carta Costituzionale. L’unico valore aggiunto che posso vedere, o auspicare, in un simile provvedimento riguarda il riconoscimento e la valorizzazione dell’alterità, delle altre culture che vieppiù si radicano nel nostro paese, pur tenendo al centro, quasi stella polare, i valori espressi dai padri costituenti.”

 Scollatura tra realtà immigrati e astrazione legislativa. “Questa scollatura, purtroppo, è sempre presente nei processi legislativi, poiché provvedimenti che devono essere erga omnes per forza di cose devono tentare uno sforzo di sintesi tra realtà anche molto differenti e, nel fare questo, rischiano di perdere la specificità di alcune situazioni. Ciò detto, la duttilità più che nello strumento deve stare in chi lo applica, nel buon senso, nella capacità di leggere il contesto materiale e culturale in cui vivono le persone, interpretando le tabelle alla luce delle condizioni umane. Per quanto riguarda invece la questione dei Rom e Sinti, ricordo che gran parte di essi ha la cittadinanza italiana, che molti provengono da paesi dell’Unione europea, per i quali non è richiesto un permesso di soggiorno, e che infine una quota significativa di essi si trova in una condizione di apolidia di fatto poiché provenendo da paesi della ex Jugoslavia non hanno documenti né cittadinanza alcuna. Su quest’ultimo punto, giusto tre giorni fa, ho sollecitato il ministro dell’Interno Cancellieri a trovare una soluzione, poiché la perdurante condizione di irregolarità cui sono costrette queste persone non può che generare emarginazione e insicurezza.”

 La distanza tra formazione e integrazione. Il Dpr prevede tempi di formazione d’educazione civica di 5-10 ore complessivamente. Può analizzare questo dato quantitativo bruto in termini di efficacia sia per lo stato che per lo straniero?

“Il problema della durata dei momenti di “formazione civica” è solo un aspetto del problema. Mi rendo conto che 10 ore sono poche, ma anche fossero 20 o 30 o anche 100 risulterebbero in ogni caso inefficaci se questi corsi non fossero inseriti in un contesto che favorisce l’integrazione e la convivenza. Il dato essenziale è che la società nel suo complesso, dalla scuola ai sindacati, dalle aziende agli ospedali, deve ripensare il proprio modello di funzionamento alla luce della presenza ormai strutturale di persone provenienti da altri paesi, titolari oltre che di doveri anche di diritti.”

 Più di quello che c’è scritto nel documento, è interessante notare che cosa non c’è scritto. A fronte del rispetto delle regole e dei codici comportamentali previsti nel Dpr, perché non pensare,  a percorsi facilitati per la concessione della cittadinanza italiana? Perché non affrontare seriamente il capitolo non dico dello ius soli –  su cui la società italiana mi pare pronta a ragionare -ma quanto meno dei minori che nascono e crescono nel nostro paese? L’Italia ha bisogno di pratiche inclusive, che valorizzino le esperienze nuove e che aiutino tutti noi a crescere in un mondo sempre più interconesso e che, sempre di più, sarà caratterizzato dall’interculturalità.”

Marco Corazziari24 maggio 2012