Arte islamica, come un quadro di Malevic

Mattonella in ceramica invetriata dipinta a lustro metallico e blu cobalto, Kashan, Iran, fine sec. XIII-XIV, inv. 94, dep. ISIAO (foto P. Ferroni)

“Dopo l’11 settembre 2001 non si è mai discusso così tanto dell’Islam, ma ora è fondamentale passare dalla conoscenza alla comprensione” dice Omar Camilletti del Centro Culturale Islamico della Grande Moschea di Roma. Ma cosa sia l’arte per l’Islam risulta davvero complicato. Tant’è che alla fine di Cosa immaginare artisticamente islamico – quinto incontro presso la bellissima Sala degli Specchi del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma – le domande dal pubblico sono le stesse a cui l’incontro si prefiggeva di rispondere: “cos’è l’arte islamica?”

“Per l’Islam l’arte non è un dono, ma una conoscenza, la conoscenza della bellezza di dio, che sia resa nel modo più perfetto possibile”, esordisce Paola Gabbrielli, presidente del Tavolo Interreligioso che ha organizzato l’incontro.

“Certamente il bello è alla base dell’insegnamento dell’Islam”, risponde Camilletti, “unica religione che non si è opposta allo sviluppo scientifico, come la medicina, ma anche alla poesia e all’arte. Tutto iniziò con il fascino subito dal 1700 per le cosiddette turcherie: da qui si iniziò a studiare l’arte islamica”.

“Ma l’arte non è supporto della dimensione religiosa” – non ci sono dei Caravaggio, dunque – “per l’Islam l’arte e la religione sono due percorsi distinti. Anche se il Corano, parola di dio, è il centro dell’espressione che ci ha insegnato la clemenza, la misericordia, la giustizia e la bellezza. E per questo in musica, architettura… c’è questo grande mescolamento di stili. Solo la calligrafia può avere una dimensione di culto-verità”.

“L’Islam è essenziale, non ha bisogno di orpelli. Ci sono 5 semplici pilastri – la testimonianza di fede, le preghiere rituali, l’elemosina canonica, il digiuno durante il mese di Ramadan, il pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita – e nessun intermediario: ognuno è sacerdote di sé stesso. Islam tradotto come ‘sottomissione’ crea equivoci, anzitutto perché non c’è coercizione, anzi, l’Islam predica il libero arbitrio, all’interno del quale l’uomo effettua libere scelte, ma ogni scelta porta a determinate conseguenze. Non c’è questa dimensione della prescrizione, della norma, del precetto: ‘devi fare questo’. Per lo stesso motivo da noi non si è sviluppata la teologia: si può ammirare, ma non capire tutto. L’uomo è libero, è ciò che gli accade che limita la sua libertà. Io mi sono convertito all’Islam semplicemente perché ero musulmano e non lo sapevo”.

“Si tende ad associare la modernità all’arcaismo islamico. Ma la modernità per tutto il ‘900 c’è stata, la religione era tra parentesi: dagli anni ’90 è tornata alla ribalta, anche in modi superficiali, e questo non riusciamo a spiegarlo. Il vero spirito del tempo non è dire ‘questa è arte islamica’, ma guardare alla contaminazione. Se dovessi fare dei paragoni, mi vengono in mente le geometrie celtiche, l’astrattismo, Malevic… questi tipi di arte ricordano la sensibilità islamica”.

“Pensate alla moschea di Roma, lei crea questo dialogo: ci sono le palme a fianco ai cipressi, i sanpietrini e il travertino… sorvolando sulle vere motivazioni che hanno voluto la Moschea e il Centro Islamico a Roma: inaugurati il 21 giugno del 1995 “dal senatore a vita Giulio Andreotti per ingraziarsi il commercio petrolifero: il petrolio al 66% è su territori islamici”, non meravigliamoci mai del perché avvengano determinate ‘missioni di pace’.

“Il sufismo, pensato come la parte mistica dell’islamismo, quella accettabile, non è separato in realtà dall’Islam, è solo una parte intermedia. È proprio il sufismo che indica la geometria come una rivelazione dell’esistente non visibile, il trascendente. I numeri hanno qualità: il quadrato rappresenta la condizione umana, e la stella a otto punte – composta da due quadrati, un quadrato umano, come l’8 che è infinito – è il suo obiettivo”.

La visita al Museo. Fortunatamente, a sostegno di una teoria ricca ma complessa, c’è la ‘buona pratica’ di Agnese Fusaro, guida dell’Associazione Culturale Vidya che ci accompagna a visitare proprio l’ala del museo che raccoglie esempi d’arte islamica: la maggior parte degli oggetti esposti sono ceramiche.

“Possiamo pensare all’Islam come una coperta che si adagiò sulle culture precedenti, senza soffocarle: prese alcuni aspetti, lasciando influenze indirette. Non come il cristianesimo che ha avuto una fortissima incidenza”, prevedendo, forse anche per questo, la figurazione divina. L’islamismo ha il precetto contrario – il cosiddetto aniconismo – preso dall’ebraismo, anche se si ipotizzano altri fattori di influenza. L’islamismo in più prevede che non si possano riprodurre nemmeno animali e uomini nei luoghi sacri, mentre è possibile in quelli privati. Eppure nel Corano non c’è la proibizione dell’immagine. Solo nella sura XXII, 31 è scritto ‘diffidate dagli idoli’, o più precisamente, ‘astenetevi dalla contaminazione degli idoli’: ‘idolo’ è la stessa parola di ‘immagine’. In due passi degli Hadith, i detti del Profeta, il riferimento al divieto è invece piuttosto esplicito: “in uno si dice che gli angeli non entreranno in una casa ove vi siano dei cani o delle immagini; nell’altro passo è scritto che il peggior castigo toccherà a chi le ha create: nel giorno del giudizio si chiederà loro ‘date vita a queste immagini’, non potendolo fare verranno puniti. In questo ultimo passo è chiaro che si ritiene Allah l’unico creatore possibile e che gli artisti nel creare forme naturalistiche vicine alla realtà è come se decidessero di sfidare Dio nell’atto della creazione. Per questo nell’arte islamica c’è pochissimo realismo: mai ombre, contesti realistici, forme davvero esistenti… l’arte è percezione dell’illusione. Pensate a un’infinità di mattonelle geometriche piccole e tutte uguali…”

Eliminate le figure, oltre alle geometrie, rimanevano “le lettere islamiche a permettere il gioco, e quindi l’arte. Il cufico – stile calligrafico della lingua araba – può essere allungato, arricciato come si vuole, ne esistevano di tanti tipi: il quadrato, il fiorito, perfino l’animato“. Su alcuni piatti che Agnese ci mostra il cufico scrive: ‘mangia con piacere e salute’ o ‘il vero ricco è chi elargisce non solo in abbondanza, ma anche in ristrettezza’. “Ormai avete capito che nell’arte islamica si dà pochissimo spazio alle arti, cosiddette maggiori, come la scultura o la pittura, e molto di più a quelle minori, decorative…” Agnese ci mostra ceramiche invetriate, “per proteggere la decorazione rendendole impermeabili”, o quelle realizzate “con la tecnica splashed”, il colore disposto e fatto colare, un po’ alla Pollock. Curiose le ceramiche “traforate”, nel tentativo di imitare la trasparenza delle bellissime manifatture cinesi realizzate con un materiale argilloso – il caolino – che riuscirono a tenere segreto per secoli. La maggior parte degli oggetti esposti provengono dall’Iran – dal IX al XIX secolo – maggior centro propulsivo dell’arte islamica. 

Forse la spiegazione più semplice e rivelatrice è venuta da un uditore, Nizar Ramadan, direttore del periodico di informazione per le comunità musulmane in Europa, Famiglia Musulmana: “nel mondo occidentale c’è la visione, nel mondo orientale l’ascolto. Voi dite ‘ho visto la tv’, noi diciamo ‘ho sentito la tv’. L’immagine non è prevista. L’ordine è percepito con le orecchie e non con gli occhi. Per questo mettere un’immagine di fianco a quella di dio è considerato blasfemo”.

Alice Rinaldi (3 maggio 2012)