“In occidente l’idea prevalente sulle donne islamiche è l’identificazione con il velo, ma il 2011 è stato il loro anno sulla ribalta internazionale, dalle rivolte nel nord Africa al nobel per la pace vinto dall’attivista yemenita Tawakkul Karman”, le parole di Francesca Caferri, inviata di Repubblica nel Medio Oriente e autrice de “Il paradiso ai piedi delle donne. Le donne e il futuro del mondo musulmano”, intervenuta nel corso dell’evento “Lei. L’Egitto e la donna: viaggio al femminile tra presente e passato”, organizzato dall’Accademia del paese del Mashreq. “In molti sono rimasti sorpresi da questo nuovo ruolo, di vederle manifestare a piazza Tahrir o in Libia. Io no, perché da un decennio vedo la situazione in quelle zone, ed è il motivo che mi ha spinto a raccontare varie figure femminili nel mio ultimo lavoro”.
Tre simboli spiccano nel libro della Caferri, appartenenti ad altrettante generazioni. La “vecchia scuola” di Nawal al Sadaawi, scrittrice e militante femminista di 80 anni, a dispetto dell’età in prima linea durante la rivolta del Cairo del gennaio 2011, Gamila Ismail, quarantenne giornalista e attivista, esempio di donna laica e moderna, e la giovanissima Asma Mahfouz, venticinquenne che semplicemente caricando un proprio video su youtube ha spinto molti egiziani a protestare.
Cambiamenti sul lungo termine Al momento si potrebbe obiettare che nel parlamento ci sono meno donne rispetto all’era Mubarak e che alcune leggi volute dalla moglie dell’ex leader Suzanne, come quella sul divorzio, rischiano di essere abolite. “Siamo ancora agli inizi del cambiamento”, continua la Caferri, “i Fratelli Musulmani avevano già un’organizzazione collaudata, mentre la società civile – giovani e donne, i veri fautori della rivoluzione – ci sta arrivando solo adesso. Ecco perché sono stati i primi a trionfare alle elezioni parlamentari. È un processo di medio-lungo periodo, difficile fare previsioni sulla sua durata”.
Le radici del movimento femminista egiziano Nel 1904 nacque lo Iaws – International woman suffrage alliance – associazione che mirava al suffragio universale e alla possibilità di ottenere lavoro per tutte. Nell’Egitto della prima guerra mondiale furono proprio le donne ad avere ruoli amministrativi locali e alla fine del conflitto la richiesta era di continuare a contribuire alla gestione delle città, se non altro per la lealtà dimostrata. Figura di spicco del movimento femminista egiziano fu Hoda Shaarawi, moglie del tesoriere del partito Wafd: “fu lei a decidere che si doveva scendere in strada, nel 1919, anche in chiave anti-colonialista inglese”, racconta Nini Shaarawi, nipote di Hoda. “Quando un soldato britannico la fermò puntandole contro l’arma, lei coraggiosamente aprì il cappotto e lo invitò a sparare, di renderla una nuova eroina, come quelle che lottavano per l’Irlanda”. Nel 1923 fondò l’Unione Femminista Egiziana e di ritorno dalla conferenza dello Iaws di Roma compì il gesto più significativo, levandosi pubblicamente il velo nella stazione del Cairo. “Un esempio che si può ancora considerare alla base di quanto succede ai giorni nostri”.
Sogno e realtà Singolare lo studio realizzato da Nesma Idris, assistente di letteratura inglese all’Università del Cairo e figlia di uno dei più importanti scrittori egiziani Youssef Idris. Nesma ha intervistato un campione di donne connazionali, chiedendo un loro desiderio da esprimere come se ci fosse una fata in grado di realizzarlo magicamente. “La donna egiziana media non ha sogni per sé, indipendentemente dall’estrazione sociale”. La risposta più frequente, in circa il 50% dei casi, è stata “un bel futuro per i miei figli. E molte si sono offese per la domanda, perché puntava troppo ad una risposta personale”. Tra le più giovani ha prevalso la richiesta di un marito, mentre tra i 45 e i 65 anni l’andare in pellegrinaggio alla Mecca. “Solo una ragazza, circa trentenne, ha manifestato la volontà di trovarsi alle Bahamas, stare al mare in bikini e bere tequila!”
Gabriele Santoro(14 maggio 2012)