La diaspora armena in tavola: al Teatro India Una cena armena

“Chi si ricorda più del massacro degli Armeni?”. Lo chiese Adolf Hitler nel 1939, per giustificare i suoi piani di sterminio prima di invadere la Polonia. La domanda è legittima: l’Armenia storica non esiste più, il genocidio del popolo armeno è stato costantemente negato dai vari governi turchi, la diaspora è ancora in atto.

Chi questa diaspora l’ha vissuta sulla sua pelle, come Sonya Orfalian, fornisce gli spunti che hanno reso Una cena armena lo splendido testo che è. Dalla penna di Paola Ponti, per la regia di Danilo Nigrelli, il testo prende vita e corpo su un palco disseminato di abiti usati e corde colorate che pendono dal soffitto a sorreggere oggetti e valigie. Un solo pezzo di arredamento, un tavolo a forma di cerchio rosso, con due cerchi più piccoli, gli sgabelli su cui i protagonisti si rincorrono nel corso della pièce, a mettere in atto una cena immaginaria che ha il sapore delle tradizioni di un popolo che vorrebbe dimenticare e, al contempo, che tutti gli altri ricordassero.

Un uomo e una ragazzina si incontrano – e si scontrano – come due generazioni antitetiche che devono imparare a parlarsi. Costretti a conoscersi mentre fuori impazza una tormenta di neve, obbligati a condividere gli stessi spazi risicati, il passato dell’uno va a fondersi – neppure troppo casualmente – con quello dell’altra, delineando allo spettatore il quadro di una storia che lascia domande sospese a cui spesso ancora non corrisponde una risposta.

Nello spazio di una notte il pubblico diventa apolide come il protagonista, Aram. “Volevo fare il chirurgo, ma per quella professione serve una cittadinanza. Così mi sono messo a cucinare. E io odio cucinare”. Eppure è la cucina che mantiene un legame con le sue radici. Perché “l’Armenia non esiste più, ma esiste una lingua armena, esiste una cucina armena, esistono gli Armeni”, spiega, mentre elenca il numero dei suoi parenti sparsi per il mondo, i parenti che chiama al telefono a chilometri di distanza per farsi dare, magari, quella ricetta che non ricorda tanto bene.

Del massacro degli Armeni non se ne ricorda più nessuno. Ma “perché tutti si ricordano della shoah?”, chiede Nina. Una domanda che resta sospesa sul palco, come quelle valigie che non si decidono a prendere un volo prenotato da anni, tese a simboleggiare una diaspora forzata che non ha goduto della stessa luce e della stessa condanna di altre diaspore più note.

Una cena armena indaga con tatto quella diaspora, creando un filo rosso tra chi l’ha vissuta e chi non ne ha mai neppure sentito parlare. Senza sensazionalismi, senza particolari cruenti, senza vittimismi. Solo una lucida analisi razionale, un viaggio alla ricerca dell’identità armena – per diritto di nascita o acquisita – che parte dai protagonisti, due straordinari Danilo Nigrelli e Rosa Diletta Rossi, arrivando fino al pubblico, perché si impari a gridare a gran voce quella parola troppo a lungo negata, genocidio. In armeno, Metz Yeghern, il grande male.

“Chi si ricorda più del massacro degli Armeni?”, dunque? Una cena armena è un ottimo spunto per iniziare a ricordare.

Veronica Adriani(24 maggio 2012)