La rivoluzione silenziosa delle donne musulmane

Non sono first ladies glamour, ma donne normali che lottano tutti i giorni contro diritti non riconosciuti, silenzio e pregiudizi nei confronti delle loro battaglie, vinte o ancora in corso. Sono loro le protagoniste de “Il paradiso ai piedi delle donne” di Francesca Caferri, giornalista de “la Repubblica”  presente all’incontro di martedì 19 giugno, dedicato al tema “Donne musulmane. Dignità, libertà e diritti” organizzato dalla Fondazione Nilde Iotti presso Palazzo Valentini di IV Novembre.  All’evento ha partecipato anche  Renata Pepicelli, autrice de “Il velo nell’ Islam”, Shahrazade Hushmand, teologa musulmana docente presso La Pontificia Università Gregoriana e l’on. Livia Turco, presidente della Fondazione

Perché raccontare.  Francesca Caferri da circa dieci anni si occupa del mondo arabo islamico, con una particolare attenzione a quello femminile, a “giovani o anziane che percorrono le strade del mondo a modo loro, non come vorremmo noi”. “Ho raccontato queste storie per infrangere i vari stereotipi sulla donna musulmana, proposti dai mass media e accettati dalla società, e per dar notizia della rivoluzione silenziosa che da anni queste donne portano avanti. Ecco perché quando nel 2010 sono diventate protagoniste della Primavera araba hanno destato sorpresa: nessuno le aveva mai considerate”.

Donne in movimento. Il libro raccoglie storie diverse provenienti dall’Egitto rivoluzionario, dall’Afghanistan in cerca di democrazia, dallo Yemen di Tawakkol Karman, prima donna araba a vincere  il Nobel per la pace.  Sono inoltre narrate le vicende di manager saudite che con orgoglio e non poche difficoltà si fanno strada in un paese che ancora le guarda con diffidenza; sono presenti le descrizioni del variegato universo femminile marocchino e delle esistenze di donne pakistane che, senza togliersi il burqua, lottano per vivere e per non essere bruciate o violentate; e una particolare attenzione è dedicata al movimento femminista egiziano, poiché, come afferma Caferri, “l’Egitto è il paese guida della Primavera araba, ricco di attiviste”. Come Nawal al-Sa’dawi, che, di fronte alla richiesta di spiegazioni sulla vasta partecipazione femminile alla rivolta del Cairo, ha sostenuto che “le donne in Egitto combattono da più di cento anni. Solo degli ignoranti possono esserne tanto sorpresi”. Ma, vi sono ritratte anche giovani ragazze come Asma Maafouz che, grazie alla diffusione di un video su youtube in cui dichiarava che sarebbe scesa in Piazza Tahirir a protestare, a far sentire la sua voce, ad invitare le donne e gli uomini ad unirsi a lei e a difenderla da chi “pensa che le donne non dovrebbero manifestare”, ha contribuito, con il suo gesto di rabbia e di coraggio, a riempire la piazza e la rivoluzione. A seguito dell’ondata rivoluzionaria, si è verificata una battuta d’arresto nell’affermazione dei loro diritti, ma, come spiega Caferri, “le donne egiziane se lo aspettavano. Sapevano che in questa prima fase di transizione molte delle loro conquiste sarebbero state cancellate. Rimangono tuttavia preferibili queste inevitabili difficoltà rispetto  all’immobilismo dell’anno scorso: ora hanno voce, sono ascoltate in tutto il mondo e non hanno intenzione di arrendersi”. La giornalista sottolinea infine come sia importante “prestare attenzione alle nuove generazioni di donne musulmane. Sono curiose, aperte e ci sono molto più vicine grazie alla tecnologia. Noi le guardiamo, ma anche loro ci osservano”.

Lottare per i propri diritti, non è mai facile. Le donne protagoniste di questo libro spesso hanno dovuto divorziare da mariti che non condividevano le loro scelte, hanno subito violenze, minacce e peggio ancora il silenzio. Ignorate perché burqua e velo sono simbolo di arretratezza, debolezza, sottomissione. Le si immaginano immobili, arrese al loro destino, ma Francesca Caferri ha saputo raccontare, con passione e professionalità, di un mondo di donne in movimento, con o senza velo. Donne che vogliono decidere se coprire i propri capelli oppure no. Se sposarsi o lavorare, o fare entrambe le cose. Donne che vogliono essere libere di scegliere e che chiedono di non essere più ignorate.

Martina Amendola
(17 giugno 2012)