La seconda generazione

Interessantissimo l’incontro alla libreria Feltrinelli il giorno 28 giugno per la seconda generazione degli immigrati : un succoso rapporto di una ricerca fra le scuole e un resoconto delle azioni intraprese per contrastare la discriminazione.

Le associazioni riunite erano tre, Save the Children, la vera e propria G2 (seconde generazioni) e Asgi. Hanno parlato un’avvocatessa, un sociologo e un responsabile della ricerca nelle scuole.

Nel resoconto delle azioni di contrasto alla discriminazione, di cui ha parlato l’avvocatessa Santoro, sono emersi alcuni misteri della nostra convivenza con gli stranieri : la cosiddetta “discriminazione” si annida in posti impensabili, non solo in atti aggressivi o in esclusioni plateali dei diversi, ma spesso nel linguaggio usuale e standardizzato delle leggi che regolano la nostra vita collettiva. Un esempio : la pubblica amministrazione ha l’abitudine consolidata di accompagnare ogni annuncio di concorsi o di assunzioni con la richiesta della cittadinanza italiana da parte di chi vuole presentarsi come candidato. Sembra che la cittadinanza italiana costituisca un requisito imprescindibile, imperativo – ma è una richiesta anche automatica, meccanica, e spesso irriflessa. Come notava il sociologo Valeri, le regole dei concorsi sembrano ancora formulate come se mirassero all’assunzione degli alti ufficiali dell’esercito, quando i candidati dovevano vantare un’elevata moralità e un’età più che matura. Alle obiezioni mosse dallo sportello legale del progetto RETE, ad esempio, il Ministero dell’Istruzione (Miur), che aveva annunciato un concorso di borse di studio per ricercatori universitari con la consueta richiesta della cittadinanza italiana, ha ammesso abbastanza tranquillamente che il bando poteva essere aperto anche a cittadini di paesi terzi e di conseguenza ha corretto la normativa. Il progetto RETE ( Rows emergencies teen empowerment) cerca appunto di aiutare ( con la moral suasion prima che con azioni giudiziarie) tutti coloro che si trovano alle prese con simili problemi di cittadinanza rispetto a bandi pubblici e privati, a concorsi e a situazioni analoghe. E’stato notato anche che le seconde generazioni di immigrati in molti paesi europei e in America sono ritenute protagoniste di innovazione, di mobilità ascendente, di un rapporto intraprendente con i paesi di adozione, mentre in Italia vengono inglobate nel generico mondo dello straniero, appiattite in una visione omogeneizzante dell’immigrato. Al proposito si è molto insistito, durante l’incontro, per sostenere iniziative e dibattiti che sollevino questo velo opaco e non rinviino ogni problema dell’immigrazione a una futura nuova legge sulla cittadinanza.

La ricerca sugli studenti delle scuole superiori, tecniche e professionali, condotta in molte città italiane del centro nord, con 155 questionari, ha constatato che numerosi ragazzi (il 77%) già arrivati al diciottesimo anno di età possiedono ancora la cittadinanza straniera e, benché nati in Italia, non hanno avviato le pratiche per la concessione di quella italiana,. Sul piano della performance scolastica mostrano alcuni ritardi, conseguenti alla frequentazione delle scuole medie e a ripetizioni, ma ottengono giudizi finali che oscillano dal “discreto” all’”ottimo”. I risultati confermano anche quello che alcune interviste dirette, effettuate in una ricerca pilota in queste settimane nel municipio II, comunicano : molte sono le amicizie dei giovani immigrati con i coetanei italiani, intrecciate soprattutto durante il tempo libero trascorso nel quartiere, nello sport e nei giochi, nelle strade, a differenza di quelle con i compagni di scuola, meno frequenti. Le amicizie con i propri connazionali ammontano al 18,9%, mentre quelle con i coetanei italiani raggiungono il 51%. Il contesto del quartiere si conferma l’ambiente più propizio alla socialità, a una frequentazione naturale, spontanea, fra italiani e stranieri.

L’ultima osservazione della ricerca riguarda la percentuale molto elevata dei figli di immigrati che scelgono l’indirizzo scolastico tecnico o professionale, a differenza degli studenti italiani che, dopo le scuole medie, si indirizzano verso i licei, avendo in prospettiva l’iscrizione all’università. Un motivo della scelta risale probabilmente ai genitori dei giovani, che reputano gli istituti tecnici e professionali più orientati verso il mondo del lavoro, un secondo motivo nasce dai consigli degli insegnanti – nelle scuole medie il personale docente tende a orientare in questo senso i giovani figli di stranieri, supponendo che il loro itinerario replichi quello dei genitori, prevalentemente inseriti nelle carriere lavorative operaie e manuali. Anche questo orientamento degli insegnanti italiani costituisce uno dei fattori discriminatori che influisce sulla collocazione e sulla mobilità sociale delle seconde generazioni.

Simonetta Picone Stella(29 giugno 2012)